Pesco: «La BCE rimanda al mittente il rischio insolvenza»
Il nuovissimo decreto Salva-banche prevede che la Bce acquisti per 500 miliardi titoli sul mercato a bassa qualità e a rischio insolvenza. Ma, per farlo, l'Europa chiede la garanzia dello Stato italiano e degli altri Paesi che emettono titoli. Per Daniele Pesco, l'ennesimo regalo agli istituti di credito: perchè dovrebbero essere le banche a emettere garanzie verso lo Stato, e non il contrario
ROMA - «Questo piano non ci piace affatto. E non ci piace, perché non ci piace che siano i risparmiatori a rimetterci, in caso di insolvenza bancaria». Con queste parole Daniele Pesco, deputato Cinque Stelle membro della Commissione Finanze, parla del nuovo decreto Salva-banche sul quale, da ieri, circolano le prime indiscrezioni. Già da settimane, in realtà, sarebbe pronta una presentazione sui tavoli della Bce, che vedrebbe rappresentata in grafici la montagna dei prestiti a rischio insolvenza – o già in default – prodotti dalla recessione e accumulatisi nei bilanci delle banche italiane e dei Paesi del Sud Europa. Una vera e propria «ostruzione» di credito nei canali del sistema finanziario, a cui Draghi intende rispondere con un programma di interventi su pacchetti di titoli privati fino a 500 miliardi di euro. E la soluzione concertata da Palazzo Chigi e dal Tesoro italiano sarebbe radicale: favorire l’acquisto di titoli sul mercato da parte della stessa Bce – ciò che gli addetti ai lavori chiamano «quantitative easing» –, grazie alla garanzia dallo Stato italiano. In altri termini, poiché si tratterebbe in gran parte di titoli a bassa qualità – prestiti alle imprese o mutui alle famiglie sui quali i debitori sono in ritardo o già in parte insolventi –, la Bce, dopo aver acquistato titoli a sconto rispetto al valore originario dei prestiti, verrebbe rimborsata dal Tesoro italiano in caso di ulteriori perdite.
PESCO: SIANO LE BANCHE A EMETTERE GARANZIE VERSO LO STATO - «Abbiamo già chiesto chiarimenti in audizione a Visco», fa sapere l’Onorevole Pesco, «il quale ci ha detto che il rischio perdita, in caso di insolvenza, sussiste solo per chi ha più di 100mila euro: come per dire che sono poche le persone che ci rimetterebbero, e solo chi sta bene. In realtà», prosegue, «nemmeno questo discorso ci piace, perché, fissato un limite, si fa sempre in tempo ad abbassarlo. Ma, a prescindere dal limite», puntualizza il deputato cinque stelle, «non ci piace che i risparmiatori ci rimettano nel caso in cui una banca fallisca. Abbiamo infatti proposto, nella riforma costituzionale, un emendamento – dichiarato inammissibile in quanto «fuori tema» –, in cui chiedevamo che la Costituzione sancisse l’inviolabilità del risparmio». Per quanto riguarda gli acquisti, da parte della Bce, degli Abs, «noi siamo innanzitutto per una responsabilizzazione delle gestioni bancarie», dichiara il parlamentare del Movimento. «Se ci sono molte sofferenze bancarie, non è soltanto colpa della crisi, è anche colpa del fatto che gli istituti di credito hanno prestato soldi a persone che poi deliberatamente non li hanno restituiti, perché purtroppo c’è molta discrezionalità nel concedere prestiti». Insomma, un vero e proprio «salvataggio delle banche, un’opportunità per le banche, a cui noi indirizziamo molte critiche anche perché, a nostro avviso, non dovrebbero esserci aiuti di Stato o da parte della Comunità europea per le banche». E, soprattutto, «non dovrebbe esistere una garanzia di Stato, con cui sono i cittadini a rimetterci»: anzi, le stesse banche che si sono macchiate di cattive gestioni dovrebbero essere responsabilizzate da parte dello Stato «attraverso una cessione di quote: cioè, non è lo Stato a dover emettere una garanzia alle banche, ma sono queste ultime a dover emettere garanzie verso lo Stato; nel caso in cui i titoli non vengano ripagati, lo Stato potrà ottenerne la gestione attraverso una cessione di quote delle banche». Secondo Pesco, infine, dovrebbe esistere un sistema di vigilanza «più adeguato. Oggi, una supervigilanza europea monitora le 13 più grosse banche italiane, sulle altre vigila Banca d’Italia che, però, non ci ha assicurato criteri molto efficienti. Occorrono strumenti migliori, e, soprattutto, occorre che vengano utilizzati». Un piano, insomma, bocciato su tutta la linea.
A RISCHIO LA CREDIBILITÀ DELL’EURO? - L’idea di intervenire per ridurre i crediti deteriorati è in discussione già da tempo: in autunno, è stata oggetto di un incontro tra il governatore della Banca d’Italia Visco, il Ministro dell’Economia Padoan e il premier. Un progetto da sempre tabù per la politica, che, anche durante l’esecutivo Letta, non è mai passato dalla carta ai fatti. Eppure, il piano reca firme «illustri»: quella di Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, del banchiere ed ex ministro del Bilancio Rainer Masera, degli economisti della Cdp Edoardo Reviglio e Gino del Bufalo, dell’ex direttore generale dell’Abi Giuseppe Zadra e di Marcello Minenna della Consob. L’idea alla base è che i pacchetti di crediti deteriorati, raccolti in titoli Abs, genererebbero ancora flussi di cassa dati dai pagamenti dei debitori. I titoli verrebbero segmentati in parti a rischio più o meno alto, con una parte intermedia («mezzanino») coperta dalla garanzia pubblica. «Il rischio della tranche mezzanino è allineato al rischio di credito della Repubblica italiana – si legge nel documento Bassanini – e in questo modo potrebbe essere sottoscritto, insieme alla tranche di qualità più alta, dalla Bce». Al di là di quanto, effettivamente, stiano rischiando i risparmiatori, a non convincere per nulla è il ruolo di sola intermediazione della Banca Centrale Europea, disposta sì ad acquistare i titoli, ma non a rischiare nulla. Ancora una volta, è in discussione la credibilità stessa dell’euro, il senso di avere una moneta unica e una banca centrale europea, se poi, quando si parla di rischi e di difficoltà, se la devono vedere sempre i singoli Stati membri.
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