Nella scuola crollano i muri, ma non la voglia a stare fermi
Parte lo sciopero mentre Renzi tende una mano alla protesta. Ma i Cobas pronti alle barricate se il provvedimento non finisce intero nel cestino. Intanto il 72 per cento gli italiani ammette di non sapere di che cosa si stia perlando.
ROMA - «La maggioranza degli italiani dice «sì» ai presidi manager, ma ben il 72 per cento non conosce la riforma». E il titolo del Corriere della Sera su un articolo che porta la firma del sondaggista Nando Pagnoncelli.
La percentuale di italiani che ignora tutto o quasi riguardo la scuola che forma i propri figli denuncia una dato di fatto: non stiamo solo vivendo l’epoca dello scollamento fra politica e società civile. Siamo infatti ormai di fronte anche ad un progressivo allontanamento dei cittadini dalla realtà.
UN FUTURO CHIAMATO SCUOLA - Possiamo dare la colpa a destra o a sinistra, ai giornali, al cattivo servizio della Tv o alla crisi che assorbe la maggior parte delle nostre energie, resta il fatto che se vogliamo pensare ad un mondo migliore per noi e per le nostre famiglie, bisogna partire dalla scuola. Paesi come la Polonia e la Corea del Sud hanno rivisto completamente i rispettivi sistemi scolastico-didattici e i risultati sono provati dagli exploit delle loro economie.
TUTTO IL POTERE AI PRESIDI - Veniamo quindi alla riforma targata Renzi che sta suscitando molte proteste. Proteste che sfoceranno in uno sciopero indetto da tutte le sigle sindacali del settore, che non sono
poche. Rinviamo ad un altro approfondimento la faccenda dei precari, che richiede un riflettore tutto puntato su questo problema, e passiamo a parlare del rospo che non va proprio giù agli insegnati. Renzi vuole infatti investire i presidi di un potere decisivo su tre materie: la scelta dei piani triennali per l’ offerta formativa; la scelta degli insegnanti; e la possibilità di distribuire premi economici ai migliori.
SINDACATI UNITI SOLO NELLA PROTESTA - Ecco che cosa ne pensano i due blocchi sindacali: le cinque sigle maggiori chiedono che il provvedimento venga ritoccato soprattutto per quanto riguarda il potere da affidare ai presidi. I Cobas sono invece pronti a fare le barricate perché la proposte del governo venga buttata tutta intera nel cestino. Chi ha ragione? Nessuno dei due blocchi e nemmeno il governo, che ha già detto di voler venire incontro alle cinque sigle maggiori. I Cobas hanno torto perché non propongono alternative e quindi finiscono per fare il gioco di non vuole toccare nulla. Gli altri (Cgil, Cisl, Uil ecc.) perché vorrebbero annacquare l’assegnazione delle decisioni ad organi decisionali collettivi, dei quali si conoscono benissimo, per esperienza, sia la capacità di paralizzare ogni iniziativa, sia la propensione a creare mafiette locali.
IL PASTICCIO È GIÀ PRONTO - Infine il governo ha torto perché su una materia dove non ha da portare a casa interessi diretti è disposto a venire a patti, anche se questo mina alla base il principio che era
alla base della proposta. Insomma la riforma della scuola, al di là di tecnicismi da correggere, si fondava su un principio: che ci fosse qualcuno a cui affidare il compito di decidere e quindi anche la responsabilità di essere giudicato in prima persona in base all’operato svolto. I presidi italiani non sono preparati per questo compito? Sempre meglio di una gestione- non gestione che finora ci ha regalato: una formazione agli ultimi posti delle classifiche internazionali, stipendi di fame per gli insegnanti e strutture fatiscenti che crollano sulla testa dei ragazzi.
TORNERÀ IL PORTO DELLE NEBBIE - Come finirà? Con il governo che si piegherà alla richiesta di chi vuole far ripiombare il cambiamento nel porto delle nebbie delle responsabilità, collettive quanto indistinte. Intanto Renzi si potrà appuntare al petto la medaglia della riforma. Per quando si riuscirà a provare con i dati alla mano, che il compromesso è stato inutile e dannoso, passeranno perlomeno altri cinque anni. E un altra generazione di italiani avrà perso l’ennesimo appuntamento con una istruzione in grado di consegnare ai giovani la chiave per l’accesso ad un futuro di maturità e di sviluppo. Intanto il giovane Matteo fra cinque anni chi sa dove starà. I sindacati staranno invece sempre lì a bloccare ogni cambiamento e a litigare fra di loro.
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