«Lasciamo stare lo scontro di civiltà. Parliamo di condizione della donna e di embarghi più o meno giusti»
Dopo i fatti di Parigi, siamo davvero di fronte a uno scontro di civiltà? Quegli attentati e la riscossa dell'Isis sono davvero la conseguenza di un Islam che incita alla violenza? E che fine hanno fatto le primavere arabe? Al DiariodelWeb.it, parla Biancamaria Scarcia Amoretti, esperta orientalista e Professore Emerito di Islamistica alla Sapienza di Roma
ROMA – Scontro di civiltà, derive dell’Islam, condizione della donna, primavere arabe, Isis e Opec. Biancamaria Scarcia Amoretti, illustre orientalista e scrittrice, Professore Emerito di Islamistica alla Sapienza di Roma e fra i massimi studiosi della religione musulmana, al DiariodelWeb.it propone un’analisi delle complesse tensioni che sempre di più sembrano opporre Occidente e Oriente, e che, dopo gli attentati di Parigi, paiono destinate a diventare sempre più aspre
Dopo i fatti di Parigi, a suo avviso, siamo effettivamente autorizzati a parlare di «scontro di civiltà»?
«Lo scontro di civiltà potrebbe essere comprensivo di una grande quantità di eventi e di fenomeni. Io non ho mai pensato che fosse giusto questo discorso», spiega la professoressa, «perché non è produttivo. Le differenze sono un valore, quindi io preferisco parlare di «differenze». Le differenze possono essere strutturali, oppure opere di scelta. Ad esempio, io mi occupo soprattutto di Islam sciita, ed è una preferenza: scendo me, l’Islam sciita ha avuto certe strutture e un certo sviluppo storico che ha permesso che ci fossero rivoluzioni, nel bene e nel male, nei Paesi in cui è stato dominante. Ciò non è accaduto nel caso dell’Islam sunnita, o, perlomeno, non è accaduto in maniera così evidente. In Iran, ad esempio, il discorso dello «scontro di civiltà» aiuterebbe soltanto la reazione, cioè l’elemento più reazionario, non quello più propositivo. Invece», prosegue la professoressa Scarcia, «se siamo in un mondo globalizzato, non dovrebbero esserci categorie tra «i più» e «i meno», non dovrebbero esserci scelte su cosa sia meglio, se il mondo cristiano e il mondo musulmano, ma la globalizzazione dovrebbe essere il contesto in cui ognuno sia libero di autodefinirsi, e sui fatti ci si metta alla prova. Ciò che trovo molto inquietante è che poi sui veri temi non si faccia chiarezza: ad esempio, come stanno le donne? Vogliamo decidere di avere questo argomento come spartiacque che delimiti una posizione corretta e una posizione scorretta? Oppure, in merito all’embargo dell’Iran, cosa si può pretendere da un Paese che sta sotto embargo, cosa che nasce da un discorso sì internazionale, ma di sopruso? Se si parla di scontro di civiltà, e di una civiltà superiore all’altra, come la mettiamo con il Medioevo, quando i musulmani hanno insegnato a produrre gli aranci al resto del mondo? Era una forma di scontro di civiltà? Pensiamo, ad esempio, alla notizia apparsa qualche settimana fa sul Venerdì di Repubblica: la dieta del jihadista è a base di Nutella, ingrediente tipico del proletariato inglese. Insomma, mi pare solo uno slogan destinato ad avere successo e a dimostrare che la comunicazione con le grandi masse è una cosa molto difficile», conclude la professoressa.
Ha ragione chi sostiene che l’Islam sia una religione intrinsecamente violenta, ad esempio verso le donne e gli Infedeli, e che questo sia l’elemento scatenante degli atti terroristici a cui abbiamo assistito?
«Innanzitutto, il Corano prende molto dalla Bibbia, quindi noi dobbiamo, prima di tutto, andare alle fonti, e la Bibbia non mi pare sia tutto un libro destinato alla pace», dichiara la professoressa Scarcia. «Quindi, occorre essere molto attenti: se l’Islam è una delle grandi religioni monoteistiche, come quella cristiana e quella ebraica, il punto di partenza anche per l’Islam, pur indiretto e non riconosciuto per tutta una serie di ragioni, è comunque il contesto biblico. Gli ebrei vivevano a Medina, la città dove il Profeta ha organizzato la visione politica e sociale della sua Comunità. La stessa Bibbia dice che bisogna uccidere i nemici, e bisogna ucciderli tutti, quindi il testo sacro è un fatto solo indicativo, poi bisogna considerare molti altri elementi. Ad esempio, le numerose manifestazioni per la pace fatte nel mondo musulmano indicano che esiste la ricerca di un altro tipo di fonte a cui ispirarsi. La fonte delle religioni monoteistiche non è la matrice, il punto fondamentale, anche perché sono spesso missionarie: non è il caso dell’ebraismo, che pure non mi pare si sia dimostrato politicamente, in riferimento alla questione palestinese, in maniera diversa da quella che è una forza ideologica che vuole ottenere un determinato risultato», conclude.
Che cosa può dirci in merito alla condizione della donna musulmana, elemento spesso utilizzato come indicatore dell’«inferiorità» di quella cultura?
«La condizione della donna viene presa molto spesso come questione quasi di moda, come indicatore di un certo stato di cose», dichiara la professoressa. «Invece, secondo me, deve essere visto partendo da altri presupposti: a che cosa è servito, o a che cosa non è servito, un mutamento di atteggiamento nei confronti delle donne? Nel caso dell’Iran, ad esempio, una buona conseguenza del nazionalismo è stata la presenza di un femminismo di stato. Se non ci fosse stato Nasser, per certe cose, o se non ci fosse stato Bourguiba, che in Tunisia ha abolito la poligamia, avremmo dei problemi ancora maggiori rispetto a quelli a cui siamo di fronte adesso. L’Iran, che viene considerato una specie di inferno, è in realtà il Paese dove la donna è più «influente» a livello sociale. Ad esempio, hanno dovuto mettere il numero chiuso per le donne nelle università, perché altrimenti non ci sarebbero stati studenti maschi, tanto la quota femminile nei concorsi pubblici vinceva rispetto a quella maschili. La sfacciataggine, quasi, delle donne a imporre il loro punto di vista vince su tutti i mullah del Paese messi insieme. Le donne sono truccatissime, fanno continuamente ricorso alla chirurgia estetica, sono assetate di protagonismo nel lavoro, competitive e spesso ingegneri. Ad esempio, hanno inventato un velo molto simile a un’acconciatura, con dei colori straordinari. L’Iran, oltretutto, è il Paese in cui si ricorre di più alla chirurgia estetica: hanno tutte un bellissimo naso», conclude.
Che cosa pensa della richiesta degli Occidentali alle donne musulmane di togliere il velo, sia per fattori di sicurezza sia in quanto indicatore di «sottomissione»?
«Io credo che sia giusto fare questo se il viso non può essere visto, e penso che sia diritto di ognuno vedere chi ti cammina accanto», spiega la professoressa Scarcia. «Non vedo invece che cosa il famoso chador sia di tanto diverso rispetto a una mantellina delle suore, o alle vesti nere con il foulard delle nostre nonne. Mi sembra davvero un problema inventato. Per quanto riguarda l’Iran, ad esempio, il viso delle donne persiane si guarda. Il naso delle donne persiane è predominante, ecco perché si rifanno il naso», conclude.
Quanto l’Isis è una minaccia per l’Occidente e come dobbiamo difenderci?
«Io non ho trovato nulla di persuasivo su chi faccia parte dell’Isis, e su come siano reclutate le persone», constata la professoressa. «Non so se dare retta a certi giornali, come El Pais, che ha dedicato un articolo su una conversazione telefonica di uno dei cosiddetti «integralisti», che diceva a una sua amica di essersi assoldato perché si mangiava bene e si avevano anche dei soldi in tasca. Credo, per quel poco che conosco del mondo, che questa sia la versione più accreditabile. Abbiamo dei disperati, in Europa, che hanno un problema non solo di lavoro, ma anche di identità. Io sono convinta che in perversioni come quella di Parigi c’entri molto il disastro delle periferie delle grandi metropoli europee. Penso quindi», prosegue, «che la questione dell’integralismo religioso sia, a volte, uno «scaricabarili» che utilizziamo per non parlare delle nostre responsabilità e dei nostri problemi. Un po’ come per la schiavitù: un cristiano che non si accorga dell’anomalia di essere cristiano e di far curare i suoi campi a un uomo di sua proprietà è una contraddizione macroscopica. Credo che ci sia da parte nostra un problema sociale enorme, che è quello del degrado delle periferie: vuoi essere democratico e moderno, perché non ti occupi delle persone non integrate? Ci si immagini la complessità di avere, come nel caso dei due attentatori di Parigi, due persone di periferia, non integrate, orfane. Questo non significa giustificare le loro azioni, ma essere rivoluzionari in questo momento significa anche non nascondere i nostri problemi, ad esempio il degrado delle periferie».
Che cosa pensa delle primavere arabe? Che fine ha fatto la riscossa democratica del Medioriente?
«Io ho sempre pensato che sarebbero fallite», dichiara la professoressa Scarcia. «Era chiaro che facevano parte di un programma molto più ampio, che le grandi potenze, probabilmente, o il Satana della situazione, hanno avallato. Sono fallite, ma nascevano male già dall’inizio. Era il periodo in cui il nord del Mediterraneo, cioè quei Paesi che hanno più a che fare con il mondo arabo e hanno più possibilità di interlocuzione con esso – Grecia, Italia, Spagna, Portogallo – erano in profonda crisi: è una coincidenza? L’unico Paese in cui questo ha funzionato, com’era ovvio che funzionasse, è stata la Tunisia, che ha avuto un’abitudine alla democrazia maggiore che altrove. Tutto è cominciato con l’abolizione della poligamia – e la Tunisia non è diventata meno musulmana perchè l’ha tolta: è il contrario, eventualmente», spiega.
Come il crollo del prezzo del petrolio si ripercuoterà sull’area Opec?
«Quello che spererei è che l’embargo nei confronti dell’Iran venga tolto; dall’altra parte, mi piacerebbe che ci fosse un’analisi seria su che cosa questo ha comportato ad esempio per l’Iraq. Non so chi abbia vantaggio in questa situazione», dichiara la professoressa Scarcia. «Sicuramente, crescono le tensioni tra Arabia Saudita, Iraq e Iran, che, nonostante l’embargo, è una potenza petrolifera. Ancora è presto per visualizzare un possibile scenario futuro, ma penso che il ruolo dell’Iran sia fondamentale in questa situazione, e, in maniera almeno indiretta, non è detto che il problema siro-iraqueno non rientri anche nella prospettiva di poter danneggiare l’Iran. L’Iran ha un compito enorme nella situazione attuale nell’area», conclude.
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