19 aprile 2024
Aggiornato 21:00
Il NYT e altri media USA dicono «no» alle vignette

Di Biagio: «Libertà di irridere ma anche di autocensurarsi»

A DiariodelWeb.it, il Senatore Aldo Di Biagio commenta il dibattito aperto sull'autocensura in seguito ai drammatici fatti di Parigi. Per il Senatore bisogna dare un segnale di fermezza di fronte ad un attacco vile come quello al Charlie Hebdo: l'Europa deve «operare una riscoperta della propria identità».

ROMA - È necessario «abbandonare un politically correct che si riduce ad una rinuncia, di fatto, a quei valori fondanti della nostra cultura, e dunque della nostra società, che ci hanno costituito baluardo delle libertà». In un'intervista rilasciata a DiariodelWeb.it, il Senatore Aldo Di Biagio (del gruppo Area Popolare) è fermo nel condannare la scelta di operare l''autocensura' da parte di alcuni quotidiani italiani e internazionali: «I drammatici fatti di Parigi impongono risposte in grado di dare un segnale di fermezza e di non cedimento di fronte ad un attacco vile che oggi colpisce la Francia, e l'Europa intera, in uno dei capisaldi della nostra democrazia, quale è la libertà di espressione».

LA CARICA EMOTIVA DI PARIGI - Il Senatore sottolinea che la drammaticità e la violenza che hanno caratterizzato i fatti di Parigi hanno indotto i giornali a seguire linee editoriali dettate da impulsi emozionali: «Il dibattito sull'opportunità o meno di ripubblicare le vignette di Charlie Hebdo si è articolato, di fatto, in un momento attraversato da una comprensibile e forte carica emotiva, per cui la decisione di alcuni quotidiani di non ripubblicare i disegni, adottando la cosiddetta 'autocensura', è stata fortemente criticata come 'omertosa' e troppo incline a quel vuoto 'politicamente corretto' che fa il gioco dei terroristi, alimentandone l'audacia».

I DISTINGUO SUL CASO CHARLIE HEBDO - Proprio in nome di quel principio di libertà di cui ci facciamo portatori, Di Biagio si dice persuaso «che l'Europa debba operare una riscoperta della propria identità, che non può prescindere da quelle origini giudaico-cristiane in cui si radicano i nostri valori fondativi di difesa della persona e della sua dignità e libertà». Il Senatore si dice, inoltre, convinto che sia necessario apportare delle distinzioni rispetto alla vicenda, «partendo dal presupposto che gli atti compiuti dai terroristi a Parigi, come nel resto del mondo - e in queste ore in particolare in Nigeria -, meritano una categorica e assoluta condanna che mi ha portato senza indugio ad associarmi al 'Je suis Charlie Hebdo'».

LA LIBERTÀ DI DECIDERE DEL NYT - L'editore del New York Times, Dean Baquet, commenta la decisione di non pubblicare le vignette del Charlie, spiegando aver operato questa scelta per non offendere i lettori di religione musulmana: «Da tempo seguiamo in principio– scrive Baquet sul suo blog –: c'è differenza tra gli insulti gratuiti e la satira. Molte di queste vignette sono insulti». Secondo il pensiero di Di Biagio, «in questa fase delicata si compenetrano la difesa della libertà di espressione e il sensazionalismo. Ma schiacciare l'una sull'altro sarebbe un errore». E commenta la scelta del Nyt affermando: «La decisione di pubblicare o meno le vignette appare, nelle parole del direttore del New York Times da Lei citate, come una scelta editoriale comprensibile e condivisibile: un giornale può benissimo fare propria, nella sua linea editoriale, la volontà di non adottare determinati messaggi comunicativi laddove li ritenga lesivi - o offensivi - della sensibilità, pubblica o privata, dei propri lettori. Possiamo pacatamente riconoscere che la satira di un giornale come Charlie Hebdo è certamente forte e può non essere condivisa nel metodo e nei contenuti».

L'AUTOCENSURA E' UNA SCELTA - La riflessione del Senatore è, però, ancora più sottile, quando dichiara che quanto affermato «non intacca minimamente la persuasione che gli attacchi di Parigi siano stati atti vili e infami. Ma dobbiamo stare attenti a non confondere le cose, sulla scorta di quel sentimento di viva commozione e di sgomento che ci ha accomunato in questi giorni: negare lo spazio a scelte editoriali, come quella operata dal New York Times, tacciandolo di autocensura, sarebbe, ancora una volta, negare quella libertà di opinione e di espressione che trova, nella discussione critica argomentata, il suo presupposto irrinunciabile».

DIBATTITO RIAPERTO - A una settimana dai drammatici fatti di Parigi, si riapre il dibattito sull'autocensura. Sull'edizione online del New York Times appare un articolo in cui si ribadisce la linea presa dal giornale. «Alcuni quotidiani americani – scrivono sul celebre NYT Rick Gladstone e Ravi Somaiya – incluso il New York Times, non hanno pubblicato le vignette, definendo la decisione un giudizio editoriale. Hanno sollevato le critiche di alcuni sostenitori della libertà di parola che hanno ritenuto la decisione vile rispetto all'attacco terrorista».

TOUT EST PARDONNÈ - Oggi il Charlie Hebdo torna in edicola. In copertina ancora una vignetta satirica su Maometto: l'ormai celebre – e inflazionato – «Je suis Charlie» anche nelle mani del profeta musulmano, ma sulla sua testa padroneggiano le parole «Tout est pardonné». Tutto è perdonato. Sul significato di quella frase diverse interpretazioni: per alcuni è il modo del Charlie di abbassare i toni e lanciare un messaggio di conciliazione; per altri il giornale satirico francese riprende volutamente la propria linea editoriale, continuando ad irridere la religione musulmana.

I PARAMETRI CHE FANNO LA DIFFERENZA - Scrive ancora il New York Times: «I dirigenti di alcuni quotidiani e altri giornalisti ritengono che la scelta di ripubblicare le immagini (il NYT, ancora, sceglie di non farlo) va al cuore del dibattito su ciò che costituisce la libertà di espressione nei confronti di immagini gratuite che alcuni spettatori trovano offensive». I giornalisti del Times sottolineano come i parametri di ciò che è da ritenersi offensivo siano diversi tra Stati Uniti e Francia. «I giornali sono tenuti a considerare il proprio pubblico, che legge quanto scrivono», afferma sul New York Times Martha Steffens, professoressa della Scuola di Giornalismo dell'Università del Missouri e membro del consiglio esecutivo presso l' International Press Institute. «Ogni organo di stampa non prenderà le stesse decisioni».