26 aprile 2024
Aggiornato 06:30
Non solo Brexit

Gb, troppi soldati sotto inchiesta: Londra fa «bye bye» anche allo Human Rights Act

Non solo Brexit. A causa dell'alto numero di costose cause intentate contro soldati inglesi in Iraq e Afghanistan, Londra vuole cassare la legge che la lega alla Convenzione Ue sui diritti umani

LONDRA - E' da anni che in Gran Bretagna, oltre al divorzio dall'Unione europea, si invoca l'abolizione del legame formale che vincola la legislazione britannica alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che, se interpellata, ha l'ultima parole nelle vicende che riguardano l'abuso di diritti umani. Questo, oltretutto, era un punto fondamentale del programma dell'ex premier conservatore David Cameron, che poi - forse contrariamente alle sue stesse aspettative - ha fatto molto di più: ha portato il Regno direttamente fuori dall'Europa. Ora, la posizione inglese sul diritto umanitario europeo torna sotto i riflettori per iniziativa della nuova premier Theresa May. Che ha annunciato di voler chiedere una deroga allo Human Rights Act, la legge che impone rispetto stringente dei diritti sanciti Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU). Innanzitutto per difendere i soldati britannici dai numerosi processi intentati a loro danno. 

Cos'è lo Human Rights Act
Lo Human Rights Act è una legge emessa nel 1998 che ha completamente rivoluzionato il sistema giuridico inglese. Essa, infatti, ha previsto per la prima volta un elenco scritto di diritti fondamentali, stabilendo che tutte le leggi inglesi debbano essere lette ed applicate dai giudici in maniera tale che risultino compatibili con i diritti garantiti dalla Convenzione, e tenendo conto delle norme emanate da Strasburgo.

Pioggia di cause contro i militari
Ciò ha fatto sì che, nel Regno Unito, dal 2004 siano state spese 100 milioni di sterline in cause intentate contro il personale militare. Soldi che, secondo il ministro della Difesa britannico Michael Fallon, «potrebbero essere spesi meglio», senza contare che lo stato attuale delle cose, a suo avviso, «danneggia le nostre truppe e mina le operazioni militari». Fallon ha osservato che «sono troppi i contenziosi che derivano dall'estensione della Convenzione sui diritti umani al campo di battaglia». Sulla stessa linea la May, secondo la quale i soldati britannici dovrebbero essere lasciati liberi di prendere «decisioni difficili» sui campi di battaglia, senza paura di eventuali cause successive.

Le ragioni del «no»
Chi sostiene questa tesi ricorda, tra le altre cose, che mentre i soldati britannici (e di tanti altri Stati europei) sono soggetti alla CEDU, non lo sono – per forza di cose – i soldati americani. Questo crea una disparità di trattamento evidente tra militari che pure condividono campi di battaglia e operazioni spesso controverse. Inoltre, molti ritengono che i conflitti armati dovrebbero essere regolati dal diritto internazionale umanitario (cioè dalla Convenzione di Ginevra), e non da una legge sui diritti umani.

Da Abu Ghraib al caso di Baha Mousa
Al di là delle questioni più normative, ricordare quanto accadeva nelle carceri di Abu Ghraib, in Iraq, getta un’ombra scura sulla questione. Si rammenti anche la vicenda di Baha Mousa, un uomo – giovane padre di famiglia – ucciso mentre era in custodia presso una base militare inglese a Basra, in Iraq, dopo aver subito più di 93 lesioni sul suo corpo. Mousa è morto non in un campo di battaglia, ma mentre si trovava era detenuto presso dei soldati britannici, e dopo essere stato affamato e torturato, sottoposto a trattamenti vietati anche dalla Convenzione di Ginevra.

L'inchiesta Northmoor, in Afghanistan
Non è un caso isolato: procedimenti di questo genere abbondano. Lo scorso settembre, un'inchiesta innescata dalle denunce sporte dagli avvocati di 150 cittadini afghani ha accusato militari dell’esercito inglese di aver commesso, tra il 2005 e il 2013, una lunga serie di abusi contro la popolazione locale. L'elenco è lungo: arresti immotivati, maltrattamenti, pestaggi e persino torture. Il dossier, nome in codice Northmoor, è in mano alla polizia militare britannica, che dalla sua sede di Newquay, in Cornovaglia, sta vagliando caso per caso, alla ricerca di riscontri.

Presunti crimini di guerra in Iraq
Non solo: almeno 300 militari delle forze armate di Sua Maestà devono rispondere ad accuse di omicidi, abusi e torture perpetrati in Iraq. La Commissione d’inchiesta è stata costituita dal governo britannico per fare luce su presunti crimini di guerra riscontrati. In particolare, si tratta di soldati impiegati durante il conflitto in Iraq tra il 2003 e il 2009. Mark Warwick, alla guida dell’Iraq Historic Allegations Team (Ihat) e in precedenza detective della polizia, intervistato dal quotidiano inglese Indipendent, ha rivelato che sono già stati identificati diversi casi da sottoporre alla magistratura. Sarebbero più di 1.500 le vittime della violenza dei soldati inglese, con almeno 280 «uccisioni illegali».

Sono davvero cause infondate?
La questione è, come si vede, evidentemente controversa. E' giusto che i soldati agiscano al di sopra di leggi che garantiscono il rispetto dei diritti umani? E come si può essere certi che la gran parte delle cause intentate siano infondate? Secondo il Guardian, il ministero della Difesa di Londra ha già pagato 20 milioni di sterline come compensazione di abusi praticati in Iraq, per un totale di 326 casi: un numero già enorme. Peraltro, in due inchieste pubbliche (quelle sulla morte di Baha Mousa e Hamid al-Sweady), è stato rivelato che il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) aveva denunciato abusi sui prigionieri. Abusi riferiti, peraltro anche da qualche colonnello già nelle prime settimane di guerra in Iraq, e da ex membri dell’esercito che non avevano alcun interesse economico nella vicenda. E il rischio è che, qualora Londra corra ai ripari, casi di questo genere rimangano d’ora in poi sconosciuti e impuniti.