19 aprile 2024
Aggiornato 16:30
Dopo le polemiche con Berlino, Washington, Bruxelles

Turchia, e ora il sultano Erdogan bacchetta (pure) l'Italia

Dopo Washington, Berlino e Bruxelles, le provocazioni del sultano si sono rivolte all'Italia. Colpevole di permettere alla magistratura di compiere indagini su suo figlio.

Tayyp Recep Erdogan ha «bacchettato» l'Italia per le indagini sul figlio.
Tayyp Recep Erdogan ha «bacchettato» l'Italia per le indagini sul figlio. Foto: Shutterstock

ROMA - Poche ore fa, il sultano turco Tayyp Recep Erdogan se la prendeva con la Corte Costituzionale tedesca per la decisione di non proiettare un suo videomessaggio alla manifestazione a suo favore tenutasi a Colonia. Oggi, invece, il presidente turco ce l'ha con l'Italia, «colpevole» di non impedire alla magistratura di proseguire l'indagine avviata nei confronti di suo figlio, Bilal Erdogan. Indagine che, ha dichiarato il Presidente turco a RaiNews24, «potrebbe mettere in difficoltà le nostre relazioni con l'Italia». Del resto, a suo avviso la magistratura italiana dovrebbe «occuparsi della mafia, non di mio figlio».

Gli sfregi al sultano
Il figlio di Erdogan sta frequentando un dottorato a Bologna, città dove, afferma il Presidente, «mi chiamano dittatore e fanno cortei per il Pkk». Quale sfregio, per il sultano, che dal suo democraticissimo scranno continua a dare lezioni di democrazia a destra e a manca. Ieri, si scandalizzava della «censura» applicata dalla Corte Costituzionale tedesca alla manifestazione di Colonia; oggi, invece, si stupisce che in Italia si osservi il principio teorizzato da  Montesquieu sulla separazione dei poteri, pretendendo dal governo di Roma che blocchi le indagini della magistratura su suo figlio: «Perchè non intervengono? E' questo lo stato di diritto? Questa vicenda potrebbe perfino mettere in difficoltà le nostre relazioni con l'Italia. Mio figlio è un uomo brillante che viene accusato di riciclaggio di denaro. Che si occupino della mafia in Italia, non di mio figlio». Superfluo, ovviamente, commentare la paradossale circostanza per cui il sultano turco invoca lo «stato di diritto» qui in Italia.

Critiche alla Mogherini
Erdogan ha però colto l'occasione anche per «fare le pulci» al capo della diplomazia Ue Federica Mogherini, la quale, nei giorni scorsi, ha espresso preoccupazione per le inconsulte reazioni del sultano dopo il fallito colpo di stato. «In Turchia c'è stato un golpe contro la democrazia che ha fatto 238 martiri e nessuno è venuto qui», ha detto il Presidente turco. «E Mogherini non avrebbe dovuto parlare da fuori: Mogherini, prima di tutto saresti dovuta venire in Turchia».  Erdogan si è inoltre chiesto: «Se viene bombardato il Parlamento italiano che cosa succede? La Mogherini, che è italiana, come reagisce? Dice che hanno fatto bene, che è preoccupata dai processi che ne deriverebbero? Ora vi chiedo una cosa: l'Occidente è dalla parte della democrazia o del golpe?».

Minacce a Bruxelles
Dopo aver punzecchiato a dovere l'Italia, il sultano è quindi passato a Bruxelles. La quale, per la verità, è stata oggetto già nei giorni scorsi dei rimbrotti turchi a proposito della tenuta dell'accordo sui migranti. Ed Erdogan, a conferma delle parole pronunciate ieri dal suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusgolu, ha puntualizzato che, se l'Ue non concederà la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi diretti nella Ue, Ankara non rispetterà più l'accordo di marzo. Una minaccia che la Turchia sta sventolando da ben prima del golpe, ma che ora sembra avanzare ancora più provocatoriamente. E neppure sulla pena di morte il sultano ha ceduto: «il popolo chiede la pena di morte, i sondaggi dicono che il 57% dei turchi la vuole», ha sottolineato. Scenario che, se si realizzasse, a giudicare dalle parole di Jean Claude Juncker bloccherebbe definitivamente i negoziati per l’entrata della Turchia nell'Ue.

La linea da non varcare
Sarebbe quello della pena capitale, insomma, il limite posto dall'Europa da non varcare? Forse; ma di certo, il sultano sembra aver già ampiamente superato, con il suo comportamento e le repressioni messe in atto, ogni linea rossa ipoteticamente tollerabile dall’Occidente. Con l’alleato americano, ad esempio, Erdogan continua a fare la voce grossa per l’estradizione dell’imam Gulen e, nei giorni successivi al colpo di stato, ha addirittura sospeso le attività della base aerea di Incirlik. Non solo: alcuni media vicini al Presidente hanno tranquillamente potuto accusare nientemeno che la Cia di aver finanziato il golpe.

Provocazioni
Insomma, Tayyp Recep Erdogan ne ha proprio per tutti: Germania, Italia, Stati Uniti, Bruxelles. E più alza il livello delle provocazioni, proseguendo nel frattempo con le indicibili ritorsioni antidemocratiche post-golpe, più palesa il totale fallimento dell’Occidente. Che, pur di non perdere un partner fondamentale (per l’Europa a seguito dell’accordo sui migranti, per l’America come alleato Nato), si lascia rimbrottare pubblicamente da un pulpito tutt’altro che tollerabile. Continuando a spostare un po’ più in là il «limite» passato il quale diverrebbe inevitabile riconsiderare le sue scelte in fatto di alleati. Perlomeno, per una questione di dignità: dignità che per ora Europa e Stati Uniti sembrano non avere affatto.