18 aprile 2024
Aggiornato 22:00
Una riforma che risponde pienamente ai dettami di Bruxelles

La Francia insorge contro il «suo» Jobs Act. Altra spallata all'Europa?

Nel silenzio dei media mainstream, da circa un mese la protesta attraversa le strade parigine. Sul banco degli imputati, una riforma del lavoro praticamente identica al Jobs Act targato Renzi. E, ça va sans dire, pienamente rispondente all'austera dottrina imposta da Bruxelles

PARIGI - Che l'Europa stia attraversando una crisi di portata storica è ormai fuor di dubbio. La crisi economica e quella migratoria hanno forse fatto «esplodere» il malcontento, ma il senso di insoddisfazione per il fallimento dei grandi sogni dei «padri fondatori» dell'Ue cova da tempo. Lo dimostrano i tanti risultati elettorali, nel corso dell'ultimo anno, che hanno registrato un'autentica impennata dei partiti euroscettici e delle destre; lo dimostra il crollo del consenso e della fiducia nei partiti tradizionali; e lo ha dimostrato, giusto qualche giorno fa, il risultato del referendum olandese che ha detto «no» al Trattato di associazione tra Ue e Ucraina con il 61% dei voti. Ma l'insoddisfazione per le ricette dettate da Bruxelles si è, in qualche modo, manifestata di recente anche in Francia, pur nell'incomprensibile silenzio dei media. Perché Parigi, ormai da più di un mese a questa parte, sta assistendo a una straordinaria mobilitazione di piazza contro la riforma del lavoro firmata dalla ministra El Khomri. Una riforma voluta dal governo socialista di Manuel Valls, e che, guarda caso, ricorda molto da vicino il Jobs Act targato Matteo Renzi.

Le proteste francesi
I manifestanti del movimento #NuitDebout, «Notte in piedi», sono accampati dal 31 marzo a Place de la République. In realtà, il movimento, ingrossato da numerose associazioni studentesche, si è diffuso a macchia d'olio in ben 60 città, e ha mobilitato anche centri sociali e militanti di sinistra. Le proteste si indirizzano contro una legge accusata di togliere le tutele ai lavoratori, favorire i licenziamenti e smantellare i diritti acquisiti, ad esempio abbassando del 10% la retribuzione delle ore di straordinario. Una delle norme più contestate della prima versione della legge era stata quella che cambiava le compensazioni riconosciute ai lavoratori licenziati ingiustamente: non sarebbe stata più decisa da un giudice, ma stabilita automaticamente in base all’anzianità. Questo punto è stato eliminato dalla legge dopo le modifiche presentate il 14 marzo. Tra le altre cose, la norma prevede anche cambiamenti nella retribuzione delle ore passate a casa dai lavoratori, le cui professioni prevedono periodi di reperibilità, e soprattutto aumenta la lista delle motivazioni per le quali un’azienda può licenziare un dipendente per ragioni economiche. Un Jobs Act in salsa Hollande, insomma. Ma, secondo Maurizio Blondet, c'è di più: perchè uno dei massimi ispiratori del movimento  #NuitDebout è Frédéric Lordon, economista anti-euro, anti-austerità e sovranista. Così, il 9 aprile scorso è stata una giornata chiave per le proteste, con un enorme corteo che ha attraversato che strade parigine, scontri con la polizia, decine di arresti. L'11 aprile, invece, Place de la République è stata sgomberata dalla polizia. Il governo ha promesso alle associazioni studentesche alcune modifiche alla legge, ma la sera centinaia di persone sono tornate in piazza per riprendere la protesta. Il tutto, ovviamente, nel silenzio dei media mainstream.

Cosa c'entra l'Europa?
Intanto, il parlamento francese autorizzava l’insediamento di basi NATO sul territorio nazionale. Da mesi, non a caso, si stanno raccogliendo firme per denunciare l’Alleanza Atlantica e ritirare le armate francesi «dal comando integrato».  E Hollande, nonostante la risposta muscolare a seguito degli attentati, non è mai stato così in basso nei sondaggi. «Cosa c'entra l'Europa in tutto questo?», ci si chiederà. C'entra eccome, l'Europa. Perché le proteste francesi sono l'ultimo esempio di esasperazione contro lo status quo, contro un sistema che, per rincorrere il fasullo mito della «crescita economica», perde di vista la centralità del cittadino, del lavoratore e dei suoi diritti fondamentali. Un sistema che è dettato e perpetrato dalla dottrina dell'austerità europea, dottrina che è la paradossale ed evidente castrazione di ogni speranza di crescita e benessere.

La disunione europea
C'è anche chi crede che la vera regia del movimento sia di Gene Sharp, lo stesso «autore» delle rivolte ad Est, delle primavere arabe e delle manifestazioni che preludono ai regime changes tanto confacenti agli interessi occidentali. Se così fosse, dunque, l'obiettivo finale sarebbe «sterilizzare l'opposizione» con proteste organizzate e, dunque, «controllate». Ma anche se si sposasse la tesi «complottista», rimarrebbe innegabile che l'impegno a incanalare la protesta di piazza implichi il timore che, alla fine, l'insoddisfazione possa esplodere, e nel modo più definitivo. Ad ogni modo, basta allargare un po' lo sguardo da Parigi per vedere un'Europa sempre più divisa e precaria. Negli ultimi giorni, sotto la «pressione» della crisi migratoria, l'Austria ha iniziato la costruzione di un muro al Brennero e la Finlandia ha chiuso le frontiere. Per non parlare della Germania, dove Angela Merkel, vera «regina» di Bruxelles, sta affrontando il periodo politicamente più difficile di tutta la sua lunga carriera. E, se crollasse lei, per l'Ue sarebbe davvero il colpo di grazia.