19 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Ieri segretario di Stato, oggi aspirante presidente

Gli errori della Clinton in Libia, e la storia che si ripete (5 anni dopo)

Cinque anni fa, era segretario di Stato; oggi, è aspirante presidente degli Stati Uniti. Allora, Hillary Clinton decise per l'intervento in Libia; oggi, mentre un nuovo intervento è alle porte per dirimere il caos provocato nel 2011, difende quella decisione. Ma nella sua autodifesa, non racconta «lati» della storia che tutti dovrebbero sapere

NEW YORK - Si dice che la storia sia maestra di vita, ma è proprio lei a dimostrarci quanto gli uomini siano restii a imparare le sue lezioni. Era il 2011, quando una scellerata decisione della Nato stabilì un rocambolesco intervento in Libia contro il dittatore Gheddafi, intervento che affossò definitivamente il Paese nel caos. Oggi, nel 2016, siamo sulla soglia di un nuovo intervento, che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno di fatto già cominciato nonostante la mancanza di un governo che lo possa legittimare. Il fine dichiarato, sradicare quei jihadisti che dopo la rimozione di Gheddafi hanno preso il sopravvento. Allora, Hillary Clinton era segretario di Stato; oggi, è candidata alla nomination democratica per diventare presidente degli Stati Uniti d'America.

L'autodifesa di Hillary
Vista la situazione in cui ci troviamo ora - un Paese in mano alle fazioni, dove i jihadisti avanzano, con scarse possibilità di vedere la formazione di un governo in tempi brevi -, è facilmente immaginabile come quella decisione presa cinque anni fa come segretario di Stato pesi, per Hillary, come un macigno, soprattutto in tempi di campagna elettorale. Una decisione presa, peraltro, nonostante l'ufficiale opposizione del Congresso. Hillary ha provato a difendere a posteriori quella scelta, pur contro ogni evidenza: «Avevamo di fronte un dittatore sanguinario, Gheddafi, a cui colava dalle mani il sangue degli americani... e che minacciava di massacrare un grande numero di libici. Avevamo i nostri più vicini alleati europei che surriscaldavano le linee telefoniche chiedendoci di aiutarli per cercare di prevenire quello che essi chiamarono un genocidio di massa. E avevamo gli Arabi al nostro fianco che dicevano: 'Vogliamo che ci aiutiate a fare i conti con Gheddafi». Non contenta, ha poi continuato: «Penso che Obama abbia preso la giusta decisione all'epoca. Il popolo libico ha avuto le prime elezioni libere della storia dal 1951. E per di più, hanno votato peri moderati». Un'argomentazione un po' traballante, con il senno di poi. Innanzitutto perché lo stesso si potrebbe dire dell'Iraq, ma un simile riassunto (guerra-elezioni libere-vittoria dei moderati) tralascia importanti particolari: le sofferenze, la mancanza di sicurezza, la guerra e la diffusione dell'Isis. Del resto, se quella guerra fosse stata una mossa necessaria e soprattutto efficace, non ci ritroveremmo oggi a dover gestire nuovamente il caos. Oltretutto, nemmeno le condizioni di altissima pressione descritte dalla Clinton possono giustificare una guerra intentata «alla leggera» dalla superpotenza americana. Che dovrebbe avere tutti gli strumenti per ponderare la necessità di un intervento e per studiarne le strategie e gli obiettivi a lungo termine.

Il lato nascosto
Senza contare, poi, che esiste un altro lato della storia che Hillary non ha citato. Anzi, altri due. Uno ce lo raccontano le testimonianze del gruppo civico di base formatosi in Usa, preposto a stabilire che cosa accadde a Bengazi l'11 settembre 2012, quando fu attaccata la sede distaccata dell’ambasciata americana e i terroristi massacrarono l’ambasciatore Chris Stevens e tre difensori, Marines. Come racconta nel dettaglio Maurizio Blondet, la loro indagine «ha dimostrato che Gheddafi era un nostro alleato di fatto nella guerra al terrorismo islamico…e come l’amministrazione Obama e Hillary Clinton decisero di sostenere  ribelli legati ad Al Qaeda, invece che tenere negoziati di tregua con Gheddafi,  ciò che avrebbe portato alla sua abdicazione e alla transizione pacifica del potere». Qui non si vuole certo sostenere che Gheddafi fosse un sovrano illuminato e magnanimo, proprio come non lo è oggi, in Siria, Bashar al Assad. Ma l'ossessione occidentale del regime change, peraltro curiosamente limitata alle aree dove si concentrano i maggiori interessi economici, non ha mai portato a nulla se non a conseguenze devastanti. Invece che puntare sulla transizione pacifica, si puntò sull'intervento-lampo: e questo fu indiscutibilmente un errore che ha seminato le conseguenze devastanti che oggi ci si mostrano chiaramente al di là del mare. 

Le rivelazioni delle e-mail
E poi c'è l'ultimo lato della storia, che è stato svelato dalla pubblicazione delle e-mail di Hillary. Dalle quali si evincono evidenze che la Clinton, nella sua autodifesa, ha saggiamente evitato di ricordare: in primis, grazie a un report dell'intelligence datato 27 marzo 2011, l'allora segretario di Stato veniva informato dei crimini di guerra di cui si stavano macchiando i ribelli sostenuti dagli occidentali. Inoltre, l'intelligence confermò che le forze speciali americane stavano addestrando milizie che potevano essere collegate con gli estremisti di Al Qaeda. Hillary fu addirittura informata delle reali motivazioni dell'intervento francese, ben diverse dalla nobile volontà di liberare i libici dall'orrendo dittatore sbandierata dalla Clinton in campagna elettorale: in sostanza, assicurarsi il petrolio libico, migliorare la reputazione in patria dell'allora presidente Nicolas Sarkozy, rafforzare l'influenza francese sulla regione, affermare la potenza militare francese e proteggere gli interessi in quella che è considerata un'area «francofona». Non solo: l'intelligence avvisò l'allora segretario di Stato anche del fatto che molto di quello che si diceva di Gheddafi - come la presenza nel suo arsenale di armi di distruzione di massa, o la sua abitudine di posizionare i corpi per far sembrare che fossero stati colpiti dai bombardamenti occidentali - era di fatto solo propaganda.

Cinque anni dopo
Al di là degli obblighi di riservatezza connessi al ruolo di segretario di Stato, è però evidente che il «riassunto» della guerra in Libia proposto come autodifesa dall'attuale candidata democratica lasci scoperti molti punti fondamentali della storia. E se ieri la Clinton sedeva al Pentagono, oggi è un'aspirante presidente degli Stati Uniti: nel frattempo, in Libia le cose sono peggiorate drasticamente, al punto da «richiedere» (si dice) un nuovo intervento. Che cosa ci insegna la storia?