20 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Bloccati a Istanbul o alla frontiera

L'odissea dei migranti sulla rotta «di terra» turca

Hanno passato un'altra notte nella stazione dei pullman Bayrampasa di Istanbul. Nel gruppo rifugiati, composto per la maggior parte da siriani, c'è chi si trova lì da oltre quattro giorni, in attesa di partire per Edirne, al confine con la Grecia, sperando di passare poi in Europa.

ISTANBUL - Hanno passato un'altra notte nella stazione dei pullman Bayrampasa di Istanbul. Nel gruppo rifugiati, composto per la maggior parte da siriani, c'è chi si trova lì da oltre quattro giorni, in attesa di partire per Edirne, al confine con la Grecia, sperando di passare poi in Europa. Dopo un passaparola diffuso tramite i social media, lunedì, un primo gruppo di rifugiati composto da circa 250 persone è giunto nella città tracia, ma è stato presto bloccato dalla gendarmeria, prima di raggiungere il varco di frontiera Pazarkule. Altri ancora - oltre 800 tra uomini, donne, bambini anziani e disabili - che hanno cercato di arrivare in città a piedi, si trovano accampati sul bordo dell'autostrada che porta ad Edirne, dove si incontrano le frontiere con la Grecia e della Bulgaria. Aspettano che le autorità li faccia passare. Il ministero dei Trasporti ha diffuso una circolare in cui è stato espressamente vietato alle compagnie di trasporti di vendere biglietti che abbiano come destinazione Edirne. Il prefetto della città Dursun Ali Sahin ha comunicato che finora sono state rimandate indietro 4mila persone. Ne rimarrebbero altre 1.500 sparse in tre punti della città. «Devono andare ai campi profughi», ha detto il prefetto, concedendo loro un tempo limite di tre giorni. «Attenderemo, altrimenti useremo la forza».

Ma i rifugiati non ne vogliono sapere di tornare indietro. È la prima volta che tentano di andare in Europa per via terra dalla Turchia in gruppi così numerosi. Il rischio di attraversare le coste occidentali turche con i gommoni per raggiungere la Grecia è troppo alto. Il piccolo Alan Kurdi di Kobane, la cui foto, con il corpo gettato su una spiaggia della località marittima turca di Bodrum, ha fatto il giro del mondo, è diventato un simbolo di questo damma. Secondo i dati dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNCHR), il numero delle persone che hanno perso la vita tentando di attraversare il Mediterraneo nei primi 8 mesi del 2015 è di oltre 2.400 persone. Solo martedì scorso, altri 22 migranti hanno perso la vita al largo di Datça, sulla costa sudoccidentale turca, perchè il peschereccio che li avrebbe dovuti traghettare in Grecia è affondato.

La Bulgaria ha intanto cominciato il dispiegamento di un migliaio di militari alla frontiera con la Turchia, per far fronte alla complicata situazione provocata dalla emergenza migranti, «un piano che prevede il dispiegamento di mille militari» entro una settimana.

«Non possiamo stare seduti ad osservare i corpi dei bambini e delle donne approdare sulle coste del Mediterraneo e dell'Egeo quale conseguenza di un' impotenza forzata», ha detto il presidente Recep Tayyip Erdogan ad Ankara, indicando il presidente siriano Bashar al Assad come principale responsabile della situazione dei rifugiati e indicandone la soluzione «nel rovesciamento del regime tirannico della Siria». Ma per il presidente anche i Paesi occidentali hanno le loro responsabilità. Ricordando che ad oggi la Turchia ha accolto oltre 2 milioni di rifugiati provenienti dalla Siria, Erdogan ha detto che Ankara ha speso 6,5 miliardi di dollari per costruire i campi d'accoglienza. «I ministri degli Stati esteri che vengono a trovarci si congratulano con noi, dicendo che non hanno mai visto dei campi così belli. Bene. Ma niente di tutto questo è gratis. Nessuno ci ha mai chiesto 'come possiamo contribuire?'. Tutto quello che abbiamo ricevuto finora, soprattutto grazie all'ONU, è di circa 417 milioni di dollari», ha detto il presidente.

Eppure numerosi siriani non vogliono restare in Turchia. Come spiegano gli esperti, questa scelta dipende principalmente dal fatto che Ankara non riconosce loro lo status di «rifugiato», per via della riserva geografica - limitata all'Europa - posta all'accordo di Ginevra del 1951 di cui è firmataria. La loro condizione è quella di "ospiti", senza una precisa base giuridica che rende la loro condizione potenzialmente aperta a interpretazioni arbitrarie. Sebbene negli ultimi anni siano stai messi in atto alcuni provvedimenti mirati a facilitare l'assistenza legale e sociale dei profughi, l'assenza della possibilità di avere un permesso di soggiorno valido a tutti gli effetti - con conseguente integrazione nella società turca - rende quasi impossibile costruire un progetto di vita per i siriani in Turchia.

A ciò vanno ad aggiungersi le numerose testimonianze di sfruttamento del lavoro - senza permesso di lavoro i siriani si adattano a paghe inferiori fino all'80% rispetto a quanto percepito da un turco per lo stesso impiego, sotto la minaccia di essere denunciati se si lamentano. Questa situazione genera anche casi di razzismo e intolleranza, soprattutto nei centri più piccoli, dove la presenza dei siriani è vista dagli abitanti locali meno abbienti come una minaccia al proprio sostentamento. Per 1 milione e 800 mila profughi che vivono al di fuori dai campi d'accoglienza anche l'accesso alle strutture sanitarie, e ai servizi di istruzione per i bambini - la scolarizzazione si attesta al 14% - risultano particolarmente complicate.

E la mancanza o la confusione di informazioni, fa spesso sì che i profughi non riescano ad usufruire nemmeno dei servizi offerti loro dallo Stato turco. Tra i profughi siriani sembra inoltre diffusa l'idea che l'Europa li stia attendendo a braccia aperte, mentre sarebbe Ankara ad impedire la loro partenza. Nel quartiere Basmane di Izmir, sull'Egeo, tra i migranti che restano ad attendere il momento opportuno per partire verso la Grecia, circolerebbe addirittura la voce che la Germania si starebbe preparando a inviare una nave per prenderli tutti.

(con fonte Askanews)