20 aprile 2024
Aggiornato 01:00
In pericolo le vestigia della città siriana di Palmira

Isis, disumani anche con l’arte e con la storia

La conquista della città siriana di Palmira, ricca di reperti archeologici, fa crescere l'allarme. Perché la furia dell'Isis si abbatte anche sul patrimonio archeologico, emblema di idolatria. Salvo poi, però, rivenderne una parte illegalmente per ingrossare le sue casse

BEIRUT – A soli cinque giorni dalla conquista di Ramadi, l’Isis è riuscito a penetrare nel cuore della Siria, prendendo una città strategica per posizione e preziosa per tradizione: Palmira. Il suo colonnato, ricco di secoli, si staglia impassibile contro il cielo, ma potrebbe avere i minuti contati. Perché ciò che il tempo non ha distrutto, lo distrugge la furia iconoclasta dello Stato islamico.

Palmira, città strategica e ricca di storia
A fare gola al Califfato non sono state le rovine: la presa della città è un tassello della strategia territoriale dell’Isis, che intende tagliare le vie di comunicazione tra Damasco e il Sud della Siria. Non solo: Palmira giace in mezzo a un importante giacimento di gas naturale. Ma la città porta anche le vestigia di un passato maestoso. Un’oasi a 240 km da Damasco dominata dal tempio di Baal, antico re fenicio assimilato a Zeus; vitale centro carovaniero, splendida sotto la dominazione romana. La sua conquista, dunque, è la perfetta occasione, per gli uomini del Califfato, per aggiungere un altro tassello alla loro immagine di vendicatori iconoclasti: un’immagine che ha già mietuto fin troppe vittime.

L’odio del politeismo idolatra uccide uomini e distrugge reperti
Secondo Peter Welby, della Tony Blair Faith Foundation, è nel nome di Allah che l’Isis distrugge monumenti e statue. Il video di Mosul riporta la spiegazione «ufficiale»: «I resti che vedete sono idoli del popolo di secoli passati, adorati al posto di Allah. Il profeta Maometto ha abbattuto gli idoli con le sue mani, quando conquistò La Mecca. Lo stesso fecero i suoi compagni più tardi, quando conquistarono altre terre». Un comportamento che ben si inquadra nell’ambito della dottrina Salafi, cui l’Isis si ispira, che predica di tornare alle origini, ripristinando la purezza dell’Islam e rifiutando la bid’a, l’innovazione. Altro nemico giurato da combattere è il politeismo, in islamico shirk, specialmente quando si manifesta con l’idolatria: è questa la base che «motiva», ad esempio, il genocidio degli Yazidi o il massacro di sciiti (che venerano membri della famiglia del Profeta), ma anche la distruzione di alcune sepolture sacre ai sunniti.

Gli idoli valgono più di 3 milioni di dollari l’anno
Ma il paradosso è che, dalle rovine, l’Isis ci guadagna parecchio. Perché gli idoli contro cui abbattono la loro furia sono gli stessi che i jihadisti rivendono a peso d’oro, soprattutto dopo il crollo del prezzo del petrolio, tanto che il Consiglio di sicurezza Onu ha proibito qualsiasi transazione di oggetti dalla Siria: l’accusa è che i jihadisti commercializzino il patrimonio culturale del Paese per arricchire le proprie casse. Indagini dei servizi segreti hanno scoperto che il contrabbando d’arte bizantino muove circa 3 miliardi di dollari all’anno. Svizzera, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Qatar sono le destinazioni principali. E questo, con la purezza delle origini, non c’entra nulla. Questo c’entra solo, piuttosto, con la barbarie, quella disumanità che l’Isis sfodera, prima ancora che contro reperti archeologici, contro gli esseri umani.

Tutti i siti devastati dall’Isis
In principio fu il mausoleo sciita di Fathi al-Kahen a Mosul, demolito coi bulldozer nel giugno-settembre 2014, e la moschea di Al-Arbahin a Tikrit – fatta saltare in aria –, che conteneva 40 tombe dell’VIII secolo. Distrutte anche una delle presunte tombe del profeta Daniele, la sepoltura del profeta Giona e quella del profeta Jirjis. Stessa sorte per il santuario dell’Imam Awn al-Din. Nel gennaio 2015 l’Isis ha fatto saltare gran parte delle mura dell’antica città assira di Ninive, e due statue leonine alle porte di Raqqa, in Siria. Il 26 febbraio la furia devastatrice contro le opere del Museo Archeologico di Mosul è stata addirittura documentata da un video. Nello stesso giorno, è stata fatta saltare, tra le altre, la moschea Khudr a Mosul, e luoghi venerati dai sunniti. Marzo è stato un mese colmo di devastazione: prima la città assira di Nimrud, poi Hatra. Per non parlare delle Chiese, sistematicamente abbattute nei territori controllati.