Dopo il giorno di Juncker, i leader europei alle prese con le altre nomine
L'elezione di Jean-Claude Juncker oggi a Strasburgo, con un'ampia e forte maggioranza dell'Europarlamento, alla presidenza della prossima Commissione europea non ha semplificato le trattative in corso fra i governi degli Stati membri e le «famiglie» politiche continentali per decidere le altre nomine al vertice delle istituzioni Ue, a cominciare dall'Alto Rappresentante per la Politica estera.
BRUXELLES - L'elezione di Jean-Claude Juncker oggi a Strasburgo, con un'ampia e forte maggioranza dell'Europarlamento, alla presidenza della prossima Commissione europea non ha semplificato le trattative in corso fra i governi degli Stati membri e le «famiglie» politiche continentali per decidere le altre nomine al vertice delle istituzioni Ue, a cominciare dall'Alto Rappresentante per la Politica estera. Un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo, con la partecipazione per la prima volta di Juncker nella sua nuova veste, è previsto per domani sera a Bruxelles, proprio per cercare di dirimere questa matassa, che si sta attorcigliando sempre di più con i veti incrociati e gli equilibri politici e geografici che rischiano di spezzarsi.
I candidati più accreditati per il posto di Alto Rappresentante sono il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini (Pd-Pse), il suo collega polacco Radoslaw Sikorski (Ppe) e l'attuale commissaria Ue alla Cooperazione internazionale e l'Aiuto umanitario, la bulgara Kristalina Georgieva (Ppe). Mogherini ha un problema con i governi dei paesi ex comunisti, che non hanno apprezzato le sue reticenze a passare alla marcia superiore nelle sanzioni contro la Russia per la vicenda ucraina. Ma il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi ha ricordato che l'italiana ha il sostegno del Pse e che, se necessario, si vota e si decide a maggioranza qualificata, come si è fatto con Juncker (lasciando fuori Regno Unito e Ungheria). In effetti, i paesi dell'Est da soli non fanno minoranza di blocco, a meno che non li appoggi Londra. Sikorski potrebbe essere un problema per le ragioni opposte, in quanto polacco e dunque fortemente anti-russo. Georgieva, che ha dato una buona prova come commissaria e ha sicuramente una posizione più equilibrata sulla Russia, ha il problema di non appartenere allo stesso partito del suo governo.
Inoltre, è difficile che la decisione su questo incarico sia presa da sola e non «in tandem», senza comportare cioè un accordo anche sull'altra nomina ancora in alto mare, quella del presidente del Consiglio Ue, che dovrà succedere a Herman Van Rompuy. I questo caso i candidati sono davvero tanti, tutti con almeno un'esperienza da capo di Stato o di governo nel curriculum: c'è innanzitutto l'attuale presidente della Lituania, ed ex commissaria Ue al Bilancio, Dalia Grybauskait?, in quota Ppe. Sempre per il Ppe, ci sono poi il Taoiseach (primo ministro) irlandese Enda Kenny, del Fine Gael, il premier olandese Mak Rutte, del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (Vvd), nonché il premier svedese Friedrik Reinfeldt, che tuttavia sembra poco interessato.
Anche lei ha smentito il proprio interesse, ma è l'unica vera candidata del Pse, è una donna, e potrebbe essere un buona soluzione di compromesso: é l'attuale premier danese Helle Thorning-Schmidt (Pse), che piace molto al collega conservatore britannico James Cameron e alla cancelliera tedesca cristiano-democratica Angela Merkel, ma meno alla sinistra socialista, perché troppo liberale in economia. Un candidato dato in crescita, infine, è l'estone Andrus Ansip, che è stato primo ministro per un tempo record (ma superato da Juncker), dal 2005 al marzo 2014. Ansip è liberale, e viene da uno dei «nuovi» paesi membri ex comunisti. Potrebbe anche lui avere un ruolo importante in un compromesso che tenga conto allo stesso tempo degli interessi dei paesi dell'Est e della famiglia politica liberaldemocratica, la minore e anche l'unica delle tre che hanno sostenuto Juncker a non aver ancora avuto alcun incarico istituzionale di vertice.
Politicamente, la questione è più complicata che la volta scorsa, cinque anni fa: allora, il Ppe aveva vinto a man bassa le elezioni europee e i Socialisti, con Martin Schulz allora presidente del gruppo europarlamentare, che reclamavano solo uno dei tre incarichi istituzionali di vertice: quello, appunto, dell'Alto Rapresentante, che fu attribuito alla britannica Catherine Ashton, mentre sembrò naturale che il Ppe prendesse sia il presidente della Commissione, con il secondo mandato a José Manuel Barroso, che il primo presidente «stabile» del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Oggi il Ppe ha di nuovo vinto, ma per un pelo; inoltre, i Socialisti sono assolutamente indispensabili per la maggioranza che sostiene Juncker, a cui si sono aggiunti anche i Liberali, che in qualche modo bisognerà premiare. Un rompicapo, insomma, che domani sera a cena i capi di Stato e di governo cercheranno di risolvere. Con l'aiuto di Juncker, che, vista la sua esperienza senza pari e la nuova forza politica e legittimità che ha acquisito con il voto di oggi, potrebbe risultare risolutiva.
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