28 maggio 2023
Aggiornato 15:00
La crisi ucraina

Gas, la difficile intesa Mosca-Kiev

I tentativi di mediazione europea tra le parti sono finiti nel vuoto e lo stallo proseguirà ancora a lungo, se non verrà trovato un compromesso soddisfacente per tutti gli attori in campo.

KIEV - Una settimana dopo lo stop delle forniture, la risoluzione del rebus del gas tra Kiev e Mosca rimane ancora lontana. I tentativi di mediazione europea sono finiti nel vuoto e lo stallo proseguirà ancora a lungo, se non verrà trovato un compromesso soddisfacente per tutti gli attori in campo.

La questione della revisione dei contratti del 2009, che rischia di finire di fronte alla corte di arbitrato di Stoccolma, è però solo una delle tante che l'Ucraina deve affrontare nel quadro energetico e lo scenario dei conflitto ricorrente con la Russia va al di là del duello sul prezzo e del debito da saldare. Il nodo di fondo è quello della riduzione della dipendenza dal gas russo e passa attraverso la diversificazione sia delle fonti energetiche che delle vie di trasporto.

In questo contesto l'Ucraina uscita dalla rivoluzione di febbraio ha maggiori problemi di prima, sia alla luce del peggioramento dei rapporti politici con Mosca, sia perché i nuovi progetti di estrazione di shale gas al largo del Mar Nero e nel Donbass sono finiti nel congelatore con l'annessione della Crimea da parte della Russia e i venti di guerra tra Lugansk e Donetsk.

Se il presidente Petro Poroshenko si sta muovendo più sul versante politico, concentrato sull'implementazione del piano di pace e sul difficile dialogo con i separatisti filorussi, è il governo di Arseni Yatseniuk a gestire invece il dossier energetico, partendo dal fatto che secondo la costituzione le competenze per le questioni economiche fanno capo al premier.

Yatseniuk, insieme al ministro dell'energia Yuri Prodan, uomo vicino a Yulia Tysmohenko, sta seguendo in sostanza la stessa linea di emancipazione avviata dal suo predecessore Mykola Azarov, che sotto la presidenza di Victor Yanukovich ha cercato, senza troppo successo, di staccarsi dai tubi russi.

La prima mossa del nuovo governo di Kiev è stata quella di riportare in primo piano il tema della modernizzazione del sistema di trasporto del gas ucraino (gts) e quello connesso della privatizzazione di Naftogaz, il colosso energetico nazionale. I due punti vanno di pari passo, dato che le casse dello stato a Kiev piangono e senza investimenti freschi il gts ucraino, il più esteso d'Europa e attraverso il quale passano ancora i due terzi del gas russo diretto in Europa, non può essere ristrutturato.

Già Azarov negli anni passati aveva proposto l'idea di un consorzio internazionale, coinvolgendo Russia ed Europa, al quale affidare la gestione dei gasdotti dopo la privatizzazione del traballante gigante statale. La scorsa settimana Yatseniuk ha presentato alla Rada il progetto di uno smembrato in due compagnie differenti, una per la produzione, l'altra per il trasporto, che finirebbe per il 49% in mano a privati. La differenza con il passato è che il nuovo governo ucraino vorrebbe cedere le quote solo a investitori occidentali, lasciando a bocca asciutta Mosca.

A parte i dubbi su questa clausole di esclusione che potrebbero essere attaccate in sede internazionale, le difficoltà sono quelle di principio ed economiche che già Azarov si è trovato ad affrontare. E cioè la disponibilità limitata dell'Unione Europea a lasciarsi coinvolgere in un progetto con il quale alla fine dei conti ci si affida ancora alla Russia come paese fornitore.

Come aveva fatto il suo predecessore, Yatseniuk ha messo l'accento sul fatto che rimettere in sesto il gts ucraino costerebbe solo una manciata di miliardi di euro, 4-5, e l'operazione metterebbe ulteriormente a rischio il South Stream, il gasdotto che Gazprom sta costruendo per aggirare sul lato meridionale l'Ucraina.

Bruxelles però ha già perso con Mosca il braccio di ferro sul Nabucco e per l'Europa la diminuzione della dipendenza energetica dalla Russia non passa certo attraverso il sistema ucraino. Kiev si trova dunque sempre nella scomoda posizione di dover convincere i partner europei a investire in un progetto che contiene elementi di contraddizione, mentre Mosca prosegue imperterrita nella sua strategia di accerchiamento e Vladimir Putin sarà martedì in Austria per discutere di South Stream.