25 aprile 2024
Aggiornato 08:30
Cosa ci aspetta e come possiamo salvarci

Pensioni, 2030 anno zero: ecco perché il sistema previdenziale italiano è al collasso

Quello che abbiamo davanti è quasi uno scenario apocalittico. La data del presunto crac è il 2030. Per salvarci dobbiamo puntare sulla crescita economica, ma le stime del Def 2016 non sono rassicuranti. Forse un tesoretto da 16 miliardi di euro potrebbe fare la differenza.

Il 2030 sarà l'anno zero per le pensioni: il nostro sistema previdenziale rischierà il crac.
Il 2030 sarà l'anno zero per le pensioni: il nostro sistema previdenziale rischierà il crac. Foto: Shutterstock

ROMA – Il sistema pensionistico italiano potrebbe collassare. E' questo l'allarme lanciato da alcuni studi di settore, che incrociando dati e previsioni ne hanno anche individuato la deadline: il 2030 è l'anno del possibile crac. Ecco perché e cosa possiamo fare per salvarci.

Uno scenario apocalittico
Uno scenario apocalittico, quello che ci si presenta davanti agli occhi. Il sistema pensionistico italiano potrebbe collassare entro quindici anni. Secondo alcuni esperti la data del presunto crac sarebbe il 2030, quando andranno in pensione i figli del baby-boom, cioè i nati nel biennio 1964-65. Negli mezzo del miracolo economico degli anni Sessanta, infatti, nacquero oltre un milione di bambini, e saranno proprio questi futuri pensionandi a dare un violento scossone alla fragile struttura del nostro sistema pensionistico tra circa quattordici anni.

La data del presunto crac è il 2030
Allo scoccare della loro pensione di vecchiaia, infatti, busseranno in massa alla porta dell'Inps, causando un vero e proprio choc per le casse dell'istituto di previdenza, che sotto il peso di questo tsunami generazionale potrebbe collassare. Lo studio in questione è stato realizzato da La Stampa, che ha analizzato insieme a diversi esperti di settore le previsioni demografiche e quelle della spesa previdenziale giungendo alle conclusioni sopra esposte. Come riporta l'articolo di Giacomo Galeazzi e Ilario Lombardo, il periodo più critico arriva fino al 2035, ma poi la situazione dovrebbe lentamente stabilizzarsi. A patto che l'economia continui a crescere.

E' necessario puntare sulla crescita economica
Una delle crepe del nostro sistema previdenziale è costituito infatti dalla crescita economica che procede a rilento e che rischia di far implodere l'intero sistema previdenziale. Attualmente, i calcoli dell'Inps presuppongono un tasso di crescita del Pil all'1,5% e in base a questa stima sono state compilate le buste arancioni che stanno per arrivare, ma si tratta pur sempre di previsioni e non di certezze. In un'Italia sempre più anziana e con alti tassi di disoccupazione, infatti, la crescita economica svolge il ruolo di ciambella di salvataggio in un mare in tempesta: se dovesse rivelarsi inferiore alle stime attuali, l'intera struttura previdenziale rischierebbe di affondare.

Le stime del Def non sono rassicuranti
Nel 2015 il tasso di crescita del prodotto interno lordo è rimasto inchiodato allo 0,8%, e le previsioni sul 2016 sono ferme all’1,2%. Il 2030 non è poi così lontano, perciò non c'è tempo da perdere, soprattutto alla luce del rapido invecchiamento della popolazione italiana. Il rapporto tra la popolazione attiva (che va dai 20 ai 65 anni) e i pensionati potrebbe raddoppiarsi nel giro di una sola generazione, e la percentuale dei pensionati rispetto ai lavoratori passerà da 1 su 3 a 2 su 3 entro il 2040. All'interno di questo processo, come spiegato all'inizio dell'articolo, il 2030 sarà una data fondamentale: una prova di resistenza per l'intero sistema previdenziale.

Un tesoretto da 16 miliardi di euro
Alla luce di questi dati, sono maggiormente condivisibili gli appelli lanciati dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, in direzione del governo e del premier, Matteo Renzi. Il cuore della proposta di Boeri è la flessibilità in uscita, che prevede fino al 9% di decurtazione e il raggiungimento della pensione di vecchiaia a 63 anni e 7 mesi con disincentivi. La flessibilità in uscita aiuterebbe a sbloccare il turn over generazionale, permettendo l'ingresso dei giovani disoccupati nel mondo del lavoro. Ma non è l'unica proposta al vaglio del governo. C'è anche chi guarda con speranza al contributo degli immigrati, che potrebbero aiutare il paese a trovare un nuovo equilibrio tra i pensionati e la forza lavoro. Intanto, l’Inps ha calcolato che il 21% dei migranti già in pensione non ha ricevuto gli assegni previdenziali dovuti dallo Stato italiano e corrispondenti ai versamenti effettuati: si tratta di un tesoretto di circa 16 miliardi di euro, decisamente prezioso in vista del 2030. Ma siamo sicuri che per quel giorno ci sarà ancora?