20 aprile 2024
Aggiornato 12:00
Tra rischi e opportunità

«E' ora di investire in Russia»

Il rublo debolissimo, la recessione incipiente, il barile sempre più scontato e il peso delle sanzioni aprono un anno difficilissimo per la Russia. Ne parliamo con il banchiere Vincenzo Trani.

MOSCA - Il rublo debolissimo, la recessione incipiente, il barile sempre più scontato e il peso delle sanzioni aprono un anno difficilissimo per la Russia. Anche perchè la possibilità che vengano rinnovate le misure decise dalla UE contro Mosca per la crisi ucraina - in scadenza a marzo 2015 - sono tutt'altro che scongiurate. Tuttavia, per dirla con Henry Ford «solo chi non osa, non sbaglia» e la crisi può anche essere un'opportunità. Ne sa qualcosa il capo della General Invest, il banchiere Vincenzo Trani, considerato un'eminenza grigia in fatto di investimenti nell'ex spazio sovietico. La sua holding finanziaria gestisce ben al di sopra del miliardo di euro (asset under management) con 48 uffici in varie regioni di Russia, Bielorussia, Armenia e Moldova.

E Trani è anche l'unico italiano a sedere nel consiglio del Mir, un fondo sovrano russo che spinge lo sviluppo della piccola e media impresa. Il banchiere, riconosce che la situazione russa «rimane oggettivamente un po' volatile», e il rublo chiude l'anno con una «svalutazione significativa». Ma le opportunità di investimento, sottolinea, restano molte: «è il momento di considerare alcuni settori particolari» dice in un colloquio con askanews.

Senza dubbio quelli che hanno subito di più la crisi, sono i titoli bancari, «a partire da Sberbank e Vtb, e in generale le banche di stato sanzionate e sono sul mercato a prezzi notevolmente inferiori a quelli di prima» afferma Trani. «Per chi ad esempio ama i titoli a reddito fisso, oggi questi titoli permettono di portare a casa un utile importante, che rasenta il 20-22%, pur mantenendo rischi molto bassi: non va dimenticato che la Russia è il secondo produttore al mondo di petrolio e il primo di gas. E tenendo conto del prezzo del petrolio al momento a 56 dollari al barile, la Russia ha il costo di produzione più basso al mondo fatta eccezione per l'Arabia Saudita che estrae a 20 dollari al barile: Mosca estrae infatti a 40 dollari al barile».

Sulla Russia attualmente c'è molto allarme. Trani evidenzia che il Paese ha una certa stabilità e sicurezza per quanto riguarda i fondamentali, pur essendo oggetto di «una forte speculazione internazionale», che «crea sfiducia nell'investitore». Per chi è interessato «ad andare al di là delle apparenze, il Paese nasconde opportunità di investimento significative». Nell'economia reale, soprattutto, «opportunità che prima non c'erano per le nostre aziende italiane».

In particolare l'impianto di unità produttive oggi in Russia apre nuove prospettive. «In passato ci sono state diverse difficoltà di impianto, forse anche perchè non eravamo particolarmente attesi come è invece stato per francesi e tedeschi. Ma ora le regioni russe, gli organi locali, agevolano molto e rendono effettivamente interessanti luoghi come la Bashkiria o Tula o la stessa regione di Mosca, che offrono opportunità uniche all'investitore. Al di là di quelli che possono essere i vantaggi, come l'ottenimento dei terreni in comodato d'uso, ci sono interessanti opportunità con aziende medio-grandi, con cui ha senso fare joint venture per portare il componente innovazione. Questo darebbe un vantaggio notevole in termini di accesso al mercato, ovviamente non solo per oggi ma anche per domani».

Trani ha più volte e apertamente criticato le sanzioni Ue. Ma è anche tra chi considera le sanzioni e gli embarghi un'opportunità per creare nuovo business. A partire dalle misure poste da Mosca sui prodotti agroalimentari occidentali, bloccandone in sostanza l'importazione. «Un esempio di questo genere è un'unità produttiva costituita nel sud della Russia, vicino a Stavropol per la produzione di prodotti caseari: una struttura mista italo-russa che con la sua produzione ha preso il posto di molti prodotti in passato importati dalla Francia e dall'Italia e venduti nelle catene di supermercati russi, anche di livello medio alto. Il prodotto viene fuori oggettivamente standard, ma comunque innovativo, perchè è un tipo di produzione che in passato la Russia non aveva». Il tutto grazie a un accordo di joint venture, con una società mista dove la parte russa ha messo a disposizione lo stabilimento e il terreno, la parte italiana i macchinari. «Producono formaggi italiani, che però non sono più italiani perchè prodotti in Russia».

Opportunità simili non le offre solo il settore caseario, ma anche quello degli insaccati: «la Russia per la produzione e il consumo di insaccati è leader in Europa - afferma Trani - ma la produzione locale sinora presenta ancora tecnologie di periodo sovietico. Ovviamente lo scopo non è andare in Russia a produrre il prosciutto Doc di Parma, ma certamente è possibile produrre vari tipi di salami e di insaccati che noi italiani sappiamo ben produrre» e sui quali vige l'embargo russo se provenienti dalla Ue. «La materia prima c'è in abbondanza, serve la giusta tecnologia e un imprenditore che guarda un po' più in là del marzo 2015, quando dovrebbero scadere le attuali sanzioni».

La Russia è un «mercato maturo e bisognerebbe rivalutare il livello di distribuzione del prodotto italiano». La concorrenza negli ultimi anni è molto più "aggressiva e importante", fatta non solo da aziende italiane. Basta pensare all'abbigliamento o ai macchinari o alla componentistica. «Bisogna immaginarsi la Russia, non come paese destinatario di produzione, ma come un'opportunità di investimento usando agevolazioni importanti, anche istituzionali, per spostare una parte della produzione. Ci sono schemi interessanti da questo punto di vista. Ci sono fondi di stato come il Mir, fondo sovrano russo. Oggi l'attenzione dei fondi sovereign è molto puntata sull'incremento della produzione locale. Per incrementare la produzione, c'è bisogno di migliorare la tecnologia e l'innovazione».

Mosca ha in passato fortemente sviluppato e agevolato le aziende straniere che producevano automobili in Russia. «Non hanno potenziato i propri marchi come Lada, ma hanno compreso che c'è un gap tecnologico insuperabile e hanno consentito di produrre all'interno del Paese i produttori stranieri: Nissan, Mitsubisci, Ford hanno avuto agevolazioni, ma non finanziamenti statali. Nel settore invece dell'industria leggera, e in quelli più vari, la Russia ha creato il fondo Mir, gestito dall'Agenzia per gli investimenti strategici, che va a finanziare in equity la parte russa e straniera per produrre prodotti innovativi. Anche sulla parola 'innovativi' bisogna capirsi: non si tratta di finanziare lo scienziato o la ricerca, ma chi porta produzione in Russia che prima non c'era. E la Russia lo fa entrando nel capitale, vantaggio notevole perchè oggigiorno nessuna struttura investe nel capitale». Di casi ne esistono già, «purtroppo nessun italiano», mentre molti tedeschi.

Trani sottolinea che la fortuna tedesca in Russia, nonostante il paradosso delle sanzioni, ha le sue radici nella storia recente di Mosca. «Dalla caduta del muro i primi che hanno approcciato il mercato russo sono stati i tedeschi». La Germania non è semplicemente il primo partner commerciale della Russia, ma ha oltre 6 mila aziende presenti. «L'impresa tedesca ha oggettivamente un grosso vantaggio alle spalle: possibilità di accedere a linee di credito importanti a tassi di interesse più bassi nel proprio Paese. Oltre a ciò, ha al suo fianco, strutture di supporto all'export molto ben organizzate. E a differenza dell'imprenditoria italiana, quella tedesca è abituata a fare sistema. La presenza delle imprese tedesche all'interno della Aeb, l'Association of European Business: il cuore è fatto da tedeschi, da 12 anni. E stiamo parlando di strutture che agevolano tantissimo l'imprenditoria che approccia il mercato russo». Una lezione per l'imprenditoria italiana, che forse andrebbe imparata.