Lo «strappo» di Conte irrita il PD e preoccupa Letta: dove vuole arrivare?
Ovviamente, i primi ad attaccare sono Matteo Renzi e Carlo Calenda, che da tempo chiedono di rompere con i 5 stelle. «Draghi è uno statista, Conte è un populista», scrive il leader Iv su Twitter

ROMA - C'è la «preoccupazione» di Enrico Letta, ma non solo. Lo scontro tra Giuseppe Conte e Mario Draghi manda in fibrillazione la maggioranza di governo, persino dentro Leu - il partito più vicino all'ex premier - la mossa non viene apprezzata e tra i parlamentari Pd riemerge l'insofferenza verso gli 'alleati' a 5 stelle che tornano a sembrare quelli del 'vaffa'.
Ovviamente, i primi ad attaccare sono Matteo Renzi e Carlo Calenda, che da tempo chiedono di rompere con i 5 stelle. «Draghi è uno statista, Conte è un populista», scrive il leader Iv su Twitter. «Noi stiamo con Draghi, noi stiamo con l'Italia». E Calenda applaude Mario Draghi, che ha ricordato al leader M5s l'aumento delle spese militari decise dal governo Conte II. «Quando un uomo con uno spessore ne incontra uno con un Casalino, quello con un Casalino? Bravissimo Draghi». Il leader di Azione, poi, usa il sarcasmo e sottolinea la «coerenza» di Conte. Nel Pd, ovviamente, si fa sentire subito Andrea Marcucci, da sempre su una linea molto simile a quella di Renzi. «Gli accordi internazionali si rispettano, tanto più durante una guerra in Europa. Io sto con Draghi».
Letta «preoccupato»
Ma il malumore è diffuso nel Pd e lo stesso Letta viene descritto «preoccupato» per la piega che ha preso la discussione. Andrea Romano dice che sarebbe «un atto di irresponsabilità aprire una crisi di governo in questo momento» e al Senato la capogruppo Simona Malpezzi ha dovuto litigare con la pari grado M5s Castellone che chiedeva a tutti i costi di votare l'ordine del giorno di Fratelli d'Italia in commissione. Un voto che avrebbe certificato la spaccatura della maggioranza ma che, dice un esponente Pd «avrebbe permesso ai 5 stelle di piantare una bandierina, di cavalcare il 'no alle armi' che porta voti?». Una tesi che viene confermata persino da una fonte M5s: «Abbiamo cercato l'occasione per votare no, per far vedere a tutti che siamo contro le armi?».
Il problema è che adesso Draghi ha perso la pazienza e una mediazione diventa più complicata. «Ieri - spiegano dal Pd - si poteva arrivare ad un ordine del giorno di maggioranza che legasse le spese militari alla difesa europea, che introducesse gradualità, che toccasse anche il tema della situazione economica di famiglie e imprese? Non hanno voluto, hanno cercato il pretesto per votare no».
Conte dove vuole arrivare?
In queste ore si valuterà se mettere la fiducia domani e non è escluso che alla fine non sia nemmeno necessario, dal momento che oggi in commissione è stata Fdi a chiedere di non votare sul proprio ordine del giorno. Se la cosa si ripetesse in aula, il governo non avrebbe nemmeno bisogno della fiducia per approvare il 'decreto-Ucraina'. Quello che per preoccupa i democratici, come dice una fonte parlamentare, è l'atteggiamento di Conte: «Dove vuole arrivare?», è la domanda.
Anche in Leu, che pure sulle spese militari pone molti distinguo, si fatica a capire la mossa di Conte. L'idea di legare le spese militari alla costruzione della difesa europea, illustrata in questi giorni da Pier Luigi Bersani, era considerata la soluzione al problema e il rilancio di queste ore lascia perplessi, «anche perché proprio il governo Conte II ha aumentato le spese militari», ricorda un parlamentare.
Un punto da chiarire ma, in prospettiva, un grande problema per Letta, che fin qui ha difeso in tutti i modi l'alleanza con i 5 stelle. Un compito che rischia di diventare impossibile, considerando il nuovo quadro internazionale, se M5s dovesse continuare sulla linea di queste ore.
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