Referendum, come Renzi vuole cavalcare l'«ondata rivoluzionaria» di Trump
Che Renzi tifasse per Hillary Clinton non è un mistero. Ma ora il premier ricerca una exit strategy. Per trasformare la vittoria di Donald Trump, da una sciagura per sé e il suo partito, a un'opportunità
ROMA - «Speriamo che sia femmina», scriveva il premier Matteo Renzi nella sua newsletter a qualche ora dal voto americano. Femmina, però, non è stata. La sorprendente elezione di Donald Trump alla Casa Bianca deve aver colto decisamente impreparato il capo dell'esecutivo italiano, che per Hillary Clinton - e per il suo predecessore Barack Obama - non ha mai fatto mistero di nutrire una forte simpatia politica. Al punto di sbilanciarsi in modo anche un po' imprudente, augurandosi che l'esito delle elezioni americane premiasse la sua «paladina».
La real politik renziana
Così non è stato, e a Renzi non resta che correre ai ripari. Perché, visto con il senno di poi, l'endorsement per Hillary assomiglia pericolosamente a una gaffe, e la cena presidenziale in grande stile alla corte degli Obama rischia di costituire un precedente scomodo per i rapporti con l'attuale inquilino della Casa Bianca, e di risultare fortemente in controtendenza con l'attuale «ondata rivoluzionaria» impersonata da Trump. Per il quale Renzi - è piuttosto evidente - non nutre tutta questa simpatia: soprattutto ora, con un referendum in arrivo che rischia di diventare un plebiscito contro l'establishment all'italiana. Eppure, a tali valutazioni politiche il premier non può che accostare calcoli basati sulla real politik, che impone di preservare i rapporti con la Superpotenza mondiale e con colui che si appresta a diventare l'uomo più potente del mondo.
La nuova linea
La sberla, inutile negarlo, è sonora. Perché quanto accaduto negli Usa è un po' l'emblema del destino che accomuna un po' tutte le forze progressiste d'Europa: sempre più lontani dal popolo, sempre meno interpreti delle istanze della base, i socialisti europei sembrano condannati al fallimento proprio come accaduto negli Stati Uniti. E con il referendum, Renzi si sta giocando la carriera politica. Urge, insomma, un repentino cambio di strategia. E se fino a qualche giorno fa la linea era quella del sostegno incondizionato ai democratici americani, da sempre ispirazione per quelli italiani, oggi la direzione è: «Vince chi porta il nuovo». Un'evidenza che i media sembrano aver più o meno deliberatamente ignorato da tanto, troppo tempo, ma davanti alla quale oggi non si può più chiudere gli occhi.
Un controverso rapporto con il «nuovo»
Del resto, il rapporto con il «nuovo», per Renzi, è in qualche modo paradossale. Perché nella sua scalata ai vertici del Pd e alla premiership, il Matteo fiorentino ha coniato la filosofia della «rottamazione», del nuovo che avanza spazzando via il vecchio ciarpame. Per mesi e mesi, il suo slogan preferito è stato «#cambiaverso», e anche oggi la campagna per il sì al referendum costituzionale oppone il coraggio del cambiamento alla palude dell’immobilismo. Eppure, tra Renzi e l’opinione pubblica deve essere avvenuto una sorta di cortocircuito: perché il «rottamatore», agli occhi dei cittadini, è diventato rappresentante per eccellenza dell’establishment, amico dei poteri forti, parte integrante di quel «sistema» che lui stesso, per manifesto programmatico, aveva annunciato di voler archiviare.
L'opportunità aperta da Trump
Così, ora, la vittoria di Trump potrebbe divenire, nella strategia comunicativa renziana, da ipotesi sciagurata a opportunità: se è il «nuovo» quello che vince, il «sì» sarà ancora più esplicitamente l’emblema del nuovo, della svolta tanto attesa, mentre il «no» sarà ancora più univocamente associato al «vecchio», al «sistema». Il tentativo, insomma, da qui in avanti sarà quello di far «dimenticare» la pacca sulla spalla di Obama, e cavalcare l’ondata rivoluzionaria di Donald Trump.
Dove sta il sistema?
Certo, non che l’operazione sia facile. Perché il popolo non ha la memoria poi così corta, e perché è difficile far apparire anti-sistema una riforma che dal sistema (banche, finanza, cancellerie europee, precedente amministrazione Usa) è così fortemente sostenuta e sponsorizzata (LEGGI ANCHE «Jp Morgan e l'amico Renzi: storia di come vogliono cambiarci la Costituzione (e il sistema bancario)»). La missione, insomma, è decisamente difficile. Ma al premier, si sa, piacciono le sfide.
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