25 aprile 2024
Aggiornato 13:30
I dissidenti Dem attaccano il premier sul salva-Silvio

I fedelissimi mettono nei guai Matteo Renzi

La spaccatura all'interno del partito di maggioranza sembra sempre più impossibile da rimarginare e Matteo Renzi fa la voce grossa: «Non mi faccio dettare l'agenda da voi», afferma, rivolgendosi alla minoranza Dem. Da Civati&Co. l'attacco ai fedelissimi del premier: troppi rapporti con Forza Italia, «abbiamo Verdini in casa».

ROMA - La spaccatura all'interno del partito di maggioranza sembra sempre più impossibile da rimarginare e Matteo Renzi fa la voce grossa: «Non mi faccio dettare l'agenda da voi», afferma, rivolgendosi alla minoranza Dem.

RENZI: LA MINORANZA NON MI TIENE SOTTO SCACCO - Il decreto fiscale è stato «salutato positivamente per giorni, salvo poi cambiare idea quando qualcuno ha avanzato ipotesi che contenesse una norma salva Berlusconi (ipotesi tutta da dimostrare, peraltro). Per essere chiari: noi non facciamo norme ad personam, né contra personam. E' una norma semplice che rispetta il principio di proporzionalità. E che si può naturalmente eliminare, circoscrivere, cambiare. Ma per evitare polemiche - sia per il Quirinale, che per le riforme - ho pensato più opportuno togliere di mezzo ogni discussione e inserire anche questo decreto nel pacchetto riforme fiscali del 20 febbraio». Queste la parole del premier che si sforza di mettere fine alla bufera del 'salva-Silvio': «Una legge si adotta se serve agli italiani, non se si immagina che possa servire o non servire a un italiano. Noi cambiamo il fisco per gli italiani, non per Berlusconi». Le repliche della minoranza dem, però, non si fanno attendere e Stefano Fassina attacca duramente il premier: «Il livello di propaganda di Renzi è indecente e offensivo per l'intelligenza degli italiani». E, continua, Alfredo D'Attorre, insinuando il dubbio su quella data così lontana: «Perché aspettare il 20 febbraio? Così si alimentano sospetti». A rispondere ai 'ribelli' ci pensa Ernesto Carbone, renziano doc, che apostrofa Fassina: «Caro Fassina, sono finiti i tempi in cui perdevi ed eri contento». Infine arriva la risposta aspra del premier che sembra sigillare così il divario con i dissidenti: «Se questi pensano di tenermi sotto scacco con la scusa del Quirinale non mi conoscono. Nessun problema a eliminare la frode dal 3%, ma non mi faccio dettare l'agenda dalla minoranza del Pd», e continua affermando che «non è una norma salva-Berlusconi, si può cambiare e io non sono interessato. Ma non mi faccio fare la morale da chi, in nome dell'antiberlusconismo, ha fatto governare Berlusconi per anni».

TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE - I fulmini scaturiti dallo scontro tra Matteo Renzi e la minoranza adesso finiscono per investire tutti gli «uomini del presidente» i quali non mancano di mettere in difficoltà il presidente. Non si placa il caos attorno al decreto sul fisco e, dopo la bufera del 'salva-Silvio', si allarga in maniera inarrestabile il solco tra la minoranza del Pd e il resto del partito guidato dal premier Matteo Renzi. Ora i dissidenti della minoranza Dem si scagliano contro l'entourage renziano. Non solo Gianni Cuperlo e Pippo Civati, ma anche Francesco Boccia, Stefano Fassina e Alfredo D'Attorre denunciano a gran voce il «giglio magico», i fidati collaboratori che hanno seguito il buon Matteo dalle stanze di Firenze a quelle di Palazzo Chigi, per rivestire, oggi, cariche non indifferenti al servizio del presidente.

I FEDELISSIMI E IL PLACET DEL PREMIER - L'accusa mossa ai collaboratori del premier da Civati&Co. è quella di aver allungato la mano sul decreto del Fisco, incastrando l'ormai chiacchierata norma sulla depenalizzazione della frode fiscale a consiglio concluso. L'invettiva dei dissidenti, però, – coadiuvata dagli attacchi snocciolati dal blog di Beppe Grillo nei giorni scorsi – ha come bersaglio sempre lui: Matteo Renzi. Essendo, infatti, suoi fedelissimi, è impensabile per la minoranza che si muovano senza il benestare del presidente del Consiglio.

IL CUSTODE DI MATTEO - Ormai la sinistra allarga il campo e cerca di far terra bruciata attorno a lui, mettendo nel mirino i suoi collaboratori più stretti. Tra questi Luca Lotti, 32enne toscano, dal 28 febbraio 2014 è sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri con delega all'editoria nel Governo Renzi. In soldoni, Lotti è il 'custode' del premier. Come spiega Goffredo De Marchis su La Repubblica, dietro le intricate trame del Patto del Nazareno ci sarebbe proprio il sottosegretario Lotti: «Dalle nomine ai provvedimenti legislativi, dai provvedimenti con Forza Italia per il Patto del Nazareno al pallottoliere dei numeri del Pdper la partita al Quirinale, Lotti vigila sulla tenuta del capo». A preoccupare la minoranza Dem sono soprattutto i legami tra Luca Lotti e Denis Verdini, il forzista che ha rivestito un ruolo nodale nella tessitura del Patto del Nazareno, figura che – a detta dei dissidenti – avrebbe sul premier e sulla sua politica più influenza degli altri membri di partito: «Ormai Verdini ce lo abbiamo in casa – ripete per l'ennesima volta Pippo Civati –. Conta come un dirigente del Pd».

DA VIGILESSA A PALAZZO CHIGI - Direttamente da Palazzo della Signoria, Antonella Manzione è l'altro 'uomo' di Matteo Renzi. Il salto da ex comandante dei vigili urbani di Firenze a capo del dipartimento Affari giuridici della presidenza è grande e infastidisce gli avversari, che, però, ne riconoscono le competenze. Se Luca Lotti è inviso all'ala 'ribelle' Dem per quella sua propensione a ricorrere troppo spesso al coordinatore di Forza Italia, l'ex capo dei vigili finisce nella lista nera con l'accusa pesante di essere stata la mano che ha inserito l'articolo salva-Silvio nel testo del decreto fiscale. Inoltre quella frase che troppo spesso le si sente pronunciare - «Lo ha detto il presidente» - e con cui usa chiudere le discussioni fa sì che non brilli di simpatia agli occhi dei compagni di partito. Secondo quanto riportato da La Repubblica, la Manzione, inoltre, rivestirebbe un ruolo cruciale nella gestione delle riunioni tecniche che precedono le decisioni dei ministri, per via del suo rapporto diretto col premier e delle sue doti di «instancabile e competente» collaboratrice di Renzi.

GALEOTTO FU IL TWEET - Le stravaganze all'interno dell'entourage del premier non finiscono. Franco Bellacci, altro fedelissimo del presidente del Consiglio, è stato l'autore di un tweet anomalo, apparso sul profilo di Matteo Renzi, cancellato nel giro di una manciata di secondi. Si trattava di un commento calcistico sulla partita Roma-Udinese, digitato erroneamente dal profilo del premier. «Molto banalmente avevo in mano l'Iphone e ho scritto un tweet pensando di essere sul mio profilo», si giustifica Bellacci in una breve intervista rilasciata a La Repubblica. «Sul mio telefono ho due profili Twitter – continua il collaboratore del premier –, il mio e quello di Matteo Renzi. […] Ho la password di Matteo, monitoro i tweet». Si incrina, dunque, la figura del presidente del Consiglio grande comunicatore e diretto interlocutore degli italiani: non sarà mica tutto un bluff?