29 marzo 2024
Aggiornato 12:30
Le riforme nella nebbia

I conservatori contro Napolitano

Il gioco a rimpiattino fra i nemici veri o presunti del cambiamento rende ogni giorno più difficile decifrare gli intrecci e gli obiettivi del mondo politico italiano. Ma una chiave di lettura per capirne di più può essere la famosa frase di Totò: «Ma chi paga?»

ROMA - Il messaggio del presidente della Repubblica non lascia adito a dubbi per quanto riguarda il destino di Matteo Renzi: dopo di lui il diluvio, cioè il voto, è stato il verdetto del Colle. Su questa interpretazione delle parole di Napolitano tutto il mondo politico si è trovato d'accordo. Meno lampante da parte del Presidente è stato invece l'attacco rivolto ai nemici di Renzi. Chi sono infatti i conservatori sui quali ha puntato l'indice il capo dello Stato?

CONSERVATORE SARÀ LEI - Non c' è parte in causa nel dibattito politico che non sia pronta a respingere con sdegno l'appellativo di «conservatore». Tutti, al contrario, reclamano a gran voce l'introduzione di riforme, qualcuno, come Grillo, si spinge ad invocare e promettere addirittura una rivoluzione. Quindi con la semplice forza delle argomentazioni è quasi impossibile oggi riconoscere per nome e cognome chi si merita di essere chiamato «conservatore». Appena, infatti, si trovasse qualcuno degno di essere chiamato così, sarebbe facile per il prescelto trovare validi motivi per respingere l'accusa e immediatamente riversarla proprio su chi l'ha pronunciata.

CHI LAVORA PER IL NEMICO - Pensate quanto potrebbe essere agevole per un Salvini o per un Grillo, prendere l'ammonizione di Napolitano sui conservatori per farne un'arma contro il Presidente. Ai loro occhi chi può essere definito più conservatore di Napolitano, che ha impiegato buona parte dei suoi mandati per difendere il sistema Italia così com'è, salvo sperare di migliorarlo quà e là (non a caso era la guida dei "miglioristi" del Pci)? Ma altrettanto facile potrebbe essere per Napolitano ribattere che forse non c'è miglior conservatore ( consapevole e inconsapevole) di chi pone l'assicella dei cambiamenti talmente in alto che nessuno potrà mai superarla. Non a caso, potrebbe ricordare il Presidente, quei comunisti che ai bei tempi sognavano la venuta di "baffone" furono il più resistente dei baluardi a difesa del quarantennale potere assoluto della Dc.

TUTTI COLPEVOLI, NESSUN COLPEVOLE? - Quindi l'accusa di conservatorismo può ballare tranquillamente da una sponda all'altra del panorama politico? Se si ricorre unicamente alla retorica evidentemente è così. Ma se dalle parole si passa ia fatti, la nebbia puo diradarsi fino a consentire di individuare con chiarezza la vera identità delle forze in campo. Vista da questa angolazione la vicenda del tetro dell'Opera di Roma, abbandonato per disperazione dal maestro Riccardo Muti, può essere esemplare quanto lo fu a suo tempo quel capolavoro di Federico Fellini che si chiamava «Prova d'orchestra».

QUANDO LE MINORANZE SUONANO - Al Costanzi di Roma c' è una maggioranza di dipendenti (384) che ha firmato il piano di risanamento del sovrintendente Carlo Fuortes , il quale, in cambio di alcuni tagli e di qualche sacrificio, ha garantito che non ci saranno licenziamenti. C'è invece una minoranza composta da 76 dipendenti che si oppone al piano di Fuortes e, poichè si tratta praticamente di tutta l'orchestra, può proclamare scioperi anche selvaggi di grande impatto, lasciando appiedato il pubblico, come è avvenuto più di una volta questa estate a molti turisti che avevano acquistato il biglietto per Caracalla. Morale della favola, Riccardo Muti, che nei mesi scorsi era stato costretto ad andare in turnè in Giappone senza essere accompagnato dai suoi orchestrali in agitazione, ha deciso di mollare il Teatro dell' Opera ai suoi destini.

INSEGUI LA MONETA - Non è secondario aggiungere che il Tetro dell'Opera è in rosso profondo da anni, che nel 2013 il deficit è stato di 13 milioni, e che il Comune di Roma sovvenziona il teatro con 16 milioni e 500 mila euro a spesa dei contribuenti. David Simoncini, 50 anni, prima tromba del Teatro dell'Opera di Roma all'accusa di essere uno di quelli che con gli scioperi e le proteste ha finito per far scappare Riccardo Muti, dalle colonne di Repubblica ha risposto così: " Io guadagno 2200 euro al mese, una tromba alla Chicago Symphony Orchestra guadagna 12 mila dollari". A parte che una delle ragioni del contenzioso fra il piano di risanamento di Fuortes e il sindacato della Cgil riguarda soprattutto tutte le voci extra che finora hanno rimpinguato gli stipendi degli orchestrali, il maestro Simoncini non si pone minimanente una doverosa domanda: ma da dove vengono quei 12 mila dollari che arrivano ogni mese a chi suona la tromba alla Chicago Symphony Orchestra?

TOTÒ: MA CHI PAGA? - Trovare una risposta a questa domanda, stabilito che certamente non arrivano dal Comune di Chicago, può servire a diradare la famosa nebbia sull'identità di quei conservatori che Giorgio Napolitano ha additato all'opinione pubblica come suoi nemici, oltre che dei progetti di Matteo Renzi.