28 agosto 2025
Aggiornato 06:00
L'analisi

Renzi e Bill de Blasio, due velocisti azzoppati

Il Premier Italiano e il sindaco di New York fanno fatica a uscire dalla palude in cui li spingono i rispettivi «mandarini».

Ci sono molte analogie fra il cammino politico del presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi e il sindaco di New York, Bill de Blasio.

Intanto sono accomunati da una identica vocazione alla velocità. Molto del loro successo infatti lo devono all’ immagine che si sono costruiti di scattisti che rifiutano i tatticismi del mezzo fondo e la politica dei piccoli passi.

Sia Matteo che Bill sono paladini di un uso del potere che spariglia gli equilibri consolidati in nome della modernizzazione e del rinnovamento, sia sociale che generazionale.

Ma ciò che li rende effettivamente gemelli è l’accusa che viene loro rivolta di intelligenza con il nemico (Bill è accusato di essere un comunista, Matteo di intendersela con la destra) e l’identico pericolo di finire azzoppati dal fuoco amico.

De Blasio è stoppato nel suo programma più ambizioso, quello di aumentare le tasse ai ricchi, dal compagno di partito, il democratico governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo.

Renzi non passa giorno che non denunci le manovre sommerse contro di lui del club dei «mandarini»che alberga nel suo stesso partito. 

C’è una sola differenza fra i due, ma è una differenza imposta dal Dna geografico in cui si muovono: negli Stati Uniti la cultura vigente è che le pallottole portano incise i nomi e i cognomi di chi le spara; in Italia quando si parla di palude si intende quella delle risaie del Vietnam, dove un nemico senza faccia può colpire al riparo di mille facce.

Ormai è una costante, ogni volta che il presidente del Consiglio chiede la verifica dei poteri torna a casa ringalluzzito dai numeri, salvo la mattina dopo ritrovarsi davanti i mille sbarramenti che non solo gli impediscono di correre come vorrebbe, ma sempre più spesso lo inchiodano ai nastri di partenza.

La prova delle difficoltà in cui dibatte Renzi la offre lui stesso ricorrendo ormai quasi quotidianamente alla minaccia di mollare tutto e lasciare il Paese in balia di elezioni anticipate da affrontare senza una legge elettorale. Ma il premier può sbandierare questo spauracchio all’infinito senza perdere di credibilità? Evidentemente no.

Ecco allora che i prossimi appuntamenti per la riforma del Senato, possono essere considerati un punto di non ritorno per saggiare fino a che punto i «mandarini» che risiedono nel Pd sono intenzionati a tirare la corda.

Renzi ha già fatto molte concessioni alla sua iniziale intransigenza sulla futura identità di Palazzo Madama e la minoranza del Pd, compreso Vannino Chiti, ha dato segni di apprezzare la mano tesa del segretario.

Ma il presidente del Consiglio è ancora immerso fino alla cintola nella palude vietnamita, mentre a correre è solo il tempo che lo divide da due potenziali quanto pericolosi appuntamenti: il possibile voltafaccia di Berlusconi sulle riforme e l’eventuale successo di Grillo alle europee.

Bill de Blasio, dopo quattro mesi da sindaco è accusato dai suoi avversari di non essere riuscito nemmeno a far sloggiare da Central Park, come si era ripromesso, le carrozze trainate dai cavalli.

«Non accetterò mai che mi dicano «Renzi è uno di loro». Io non diventerò mai come chi per 20 ani non ha cambiato nulla» , è l’ultima esternazione di Matteo Renzi a Radio Montecarlo. Purtroppo somiglia più ad una richiesta disperata di aiuto che ad un programma di governo.

In quanto a togliere le «botticelle» da Piazza di Spagna, e i cavalli dalle immani fatiche sulle salite romane l’ex sindaco di Firenze nemmeno ci prova. Gli è bastata la risposta che la soprintendente speciale ai beni archeologici di Roma, Maria Rosaria Berbera gli ha rifilato dopo che a Porta a Porta il presidente del Consiglio si era lamentato per come vengono trattati i turisti al Colosseo dagli addetti comunali: «I funzionari non fanno accoglienza», lo ha gelato la Soprintendente.

Sembra che dai «mandarini» nemici di Renzi, sia partito all’indirizzo della «speciale» curatrice dei beni archeologici romani un fragoroso applauso.