25 aprile 2024
Aggiornato 02:30
Dopo la visita di Tillerson a Mosca

Usa-Russia, Trump: «Incontro meglio del previsto». Ma non è vero amore

Dopo la visita del segretario di Stato Usa Rex Tillerson a Mosca, i toni da entrambi le parti sembrano essersi ammorbiditi. Ma che questo sia preludio di un riavvicinamento sarebbe avventato da sostenere

NEW YORK - La visita di Rex Tillerson, segretario di Stato di Donald Trump, a Mosca si preannunciava decisamente complessa. Il clima, si sa, non era dei migliori: l'attacco di Trump alla base siriana da dove, secondo gli Usa, le truppe di Assad avrebbero sferrato un attacco chimico su Idlib ha volatilizzato le speranze di un rapido disgelo tra Mosca e Washington. In effetti, le dichiarazioni che hanno preceduto l'incontro non facevano ben sperare: basti considerare le parole di Putin quando ha constatato che, nonostante le aspettative, con l'arrivo di Trump alla Casa Bianca i rapporti con gli Usa sono addirittura peggiorati.

Dopo il Russiagate
Un repentino cambio di scenario, proprio mentre le indagini dell'Fbi accusavano il nuovo Presidente Usa di avere contatti sospetti con la Russia. Ipotesi che, almeno apparentemente, gli ultimi eventi sembrano dissolvere in una nube di polvere. Tanto che qualcuno si domanda se il Russiagate abbia in qualche modo condizionato i comportamenti e le decisioni di Trump.

Il messaggio del G7 alla Russia
Così, il segretario di Stato Rex Tillerson è volato nella capitale russa, reduce dal vertice dei ministri degli Esteri del G7 tenutosi a Lucca, per portare a Lavrov e a Putin un messaggio preciso: la Russia deve scegliere da che parte stare, se dalla parte di Assad, o se da quella degli Usa e dell'Occidente. Un aut aut chiaro e netto, che pure non si è accompagnato, nonostante qualcuno lo ventilasse, da nuove sanzioni verso la Russia.

Tra parole e fatti, Tillerson a Mosca
Com'è andato, dunque, l'atteso incontro di Rex Tillerson con il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e l'inatteso vertice con Vladimir Putin in persona? Per usare parole di Trump, «meglio di quanto ci attendessimo». Il pessimismo della vigilia del vertice ha dunque lasciato il posto a una cauta soddisfazione nelle parole dei diretti interessati, che sembrano intenzionati a placare gli animi. Ma, al di là delle parole, la situazione rimane complessa. Parlando delle relazioni con Putin, Trump ha confermato le tensioni, ma ha detto che «vedrà» nei prossimi mesi come si svilupperanno, ricordando tuttavia di voler dialogare con la Russia. Questo, dopo aver di nuovo affermato che è «certamente possibile» che la Russia sapesse dell'attacco chimico in Siria, secondo gli Usa lanciato per ordine di Assad, che ha definito «un macellaio».

Trump ne è sicuro: Assad è un macellaio
«Il terribile massacro di civili innocenti con armi chimiche, inclusa l'uccisione barbarica di piccoli e indifesi bambini e neonati, deve essere necessariamente condannato da ogni nazione che crede nei valori della vita umana», ha detto nel pomeriggio il presidente Usa alla stampa, con chiaro riferimento al sostegno russo al regime siriano. «Questo è un macellaio, questo è un macellaio, Quindi sentivo che dovevamo fare qualcosa. Non ho assolutamente dubbio sul fatto che abbiamo agito nel giusto modo».

Pace e problemi
Poi, però, una parziale correzione di tiro sul futuro dei rapporti con Mosca. «Voglio dialogare con la Russia, voglio dialogare con tutti», ha detto Trump, ripetendo che il mondo «è nel caos». «Non c'è paura, ma ci sono problemi», ha poi concluso facendo riferimento all'atteggiamento della Russia nei confronti dell'Occidente. «Ci sono problemi in tutto il mondo e riusciremo a risolvere questi problemi e non dobbiamo avere paura di nessuno».

Il monito di Lavrov
Dal canto suo, Segey Lavrov ha fatto sapere che «sia la Russia che gli Stati Uniti hanno espresso pubblicamente le loro intenzioni di non ingerire negli affari interni della Siria». «Noi crediamo - ha proseguito - che l'esempio negativo della Libia, dell'Iraq, di tanti altri Paesi debbano esserci di monito e debbano fermarci dal ripetere un errore simile, un tentativo di ingerire negli affari interni di un Paese», ha aggiunto, riferendosi alla questione della sopravvivenza politica del presidente Bashar al Assad.

Sull'attacco, urge indagine
Quanto all'apparente attacco con le armi chimiche del 4 aprile a Idlib in Siria e al successivo raid missilistico Usa sulle basi dei ribelli, Lavrov ha sottolineato che su entrambi gli incidenti è necessario indagare. «Ma la Russia crede che dovremmo sottolineare e fare presente all'Organizzazione per il divieto delle armi chimiche che hanno il mandato necessario per indagare su questo tipo di incidenti. Ci siamo riferiti alla lettera ufficiale in cui Damasco ha chiesto che un gruppo di ispettori possa entrare e portare avanti una indagine indipendente e dettaglia sia a Idlib che nel campo preso di mira dal raid aereo Usa successivo», ha detto Lavrov. «La nostra controparte americana - ha aggiunto - è pronta a sostenerci in questa indagine»«Sappiamo che sarebbe controproducente adottare delle sanzioni in sede di Consiglio di sicurezza piuttosto che indagare prima a fondo sulla questione, piuttosto che dare solo la colpa a Damasco. Abbiamo altre prove e vogliamo che vengano analizzate in maniera oggettiva», ha insistito il capo della diplomazia moscovita.

C'è davvero accordo?
Anche le parole di Lavrov, dunque, contengono elementi di parziale rassicurazione. A voler rimanere sul piano puramente letterale, sembrerebbe esserci accordo con gli Stati Uniti tanto sulla necessità di condurre indagini indipendenti sul raid incriminato, quanto sulla volontà di non interferire negli affari interni della Siria, e quindi sul futuro di Assad. Peccato che, tenendo conto delle diverse dichiarazioni rilasciate da Washington nelle ultime ore, la situazione sembra un po' diversa. Tanto che lo stesso Lavrov ha sentito la necessità di rinfrescare la memoria ai propri interlocutori, elencando le ultime fallite avventure belliche di «esportazione della democrazia»: Iraq e Libia in primis.

Su Assad ancora agli antipodi
In effetti, durante quella stessa conferenza stampa, Tillerson ha specificato: «Non abbiamo alcuna prova che la Russia sia coinvolta nell'attacco. Quello che sappiamo e siamo molto sicuri è che l'attacco è stato pianificato dalle forze guidate da Bashar al Assad». Una dichiarazione che non lascia dubbi sulla posizione di Washington sul regime siriano. «Non può esserci un ruolo per lui nel futuro della Siria», ha detto. Una posizione che resta praticamente agli antipodi rispetto a quella di Mosca.

La Russia mette il veto alla risoluzione Onu
Le divisioni sono emerse molto chiaramente anche in sede Onu. La Russia ha infatti posto il veto sulla risoluzione di condanna dell'uso di armi chimiche da parte del regime di Assad in Siria presentata da Francia, Regno Unito e Stati Uniti. In questo modo il provvedimento non ha alcuna possibilità di avanzare, visto che Mosca è uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La risoluzione chiedeva alla Siria di cooperare nell'indagine per capire chi ha commesso l'azione contro i civili siriani. Si tratta della ottava volta che la Russia ha usato il veto per fermare una risoluzione contro il suo alleato in Medio Oriente. Mosca ha spiegato le sue ragioni. A suo avviso, il progetto di risoluzione Onu sulla Siria per come è strutturato adesso è «inaccettabile», e non potrebbe in alcun modo preludere ad un'indagine imparziale e trasparente. Nonostante le parziali e moderate rassicurazioni delle ultimissime ore, insomma, le posizioni di Mosca e Washington sulla crisi siriana appaiono ancora inconciliabili.