Shimon Peres, il leader delle armi in Israele che diceva di volere la pace
Ha incarnato molte anime di Israele: pacifista e guerrafondaio, nazionalista sionista e, nell’ultima fase di vita, proiettato verso la fine dei confini e degli stati nazione
TEL AVIV - Di Shimon Peres si può dire che è stato un uomo che ha vissuto i molti tempi dell’Ecclesiaste, e il mondo celebra la sua morte con un perentorio riconoscimento rivolto solo all’uomo di pace, che nel 1994 vinse persino il premio Nobel. Questo unanime riconoscimento è la cartina tornasole che racconta l’attuale Israele, paese che vive nella paura e nella deriva del lungo regno Sharon-Netanyahu. Ed è per ovvie ragioni che la politica di Shimon Peres svetta se rapportata a quella dei due esponenti del likud israeliano. Pacifismo, quello di Peres, che ebbe alti e bassi, come vedremo. Grande impegno al fianco di Rabin, decisamente meno quando al potere c’era il colonnello Sharon.
Pacifista e guerrafondaio, nazionalista e poi convinto della fine degli stati nazione
Shimon Peres ha incarnato molte anime di Israele: pacifista e guerrafondaio, nazionalista sionista e, nell’ultima fase di vita, proiettato verso la fine dei confini e degli stati nazione, superati - come sostenne recentemente - dalla rivoluzione tecnologica che farà crollare ogni barriera. Per questa ragione, in Israele, fu molto amato e molto criticato dal mondo intellettuale progressista, quello a cui apparteneva.
"Un rappresentante degli ebrei dominanti»
Di lui, nel lontano 2005, parlò in termini critici lo scrittore israeliano Sami Michael, che in un'intervista al quotidiano «Europa», il 2 dicembre di quell’anno, disse: «Kadima, il partito di Peres e Sharon, vuole riportare Israele agli anni Sessanta. Peres è una star all’estero, ma dentro Israele è un generale senza armi. È qualcosa come un simbolo, non di più. Ed è poco amato in patria per molte ragioni. Non ha mai tentato di usare il suo potere per colmare il gap sociale nel paese. Dagli israeliani orientali viene visto come un rappresentante degli ebrei dominanti, gli Ashkenazi». E ancora: «Peres e Sharon? Faranno tornare indietro il paese alla politica della loro adolescenza, quella che pensa che solo la guerra può risolvere i problemi».
Leader dell’industria delle armi in Israele, ma con il Premio Nobel in tasca
Sono passati dieci anni da quell’intervista allo scrittore ebreo, nato a Baghdad, e tradotto in tutto il mondo. Ora, nel momento del lutto, rimane spazio solo per il ricordo del grande uomo di pace che vinse il premio Nobel, con Yzhak Rabin e Yasser Arafat. Riconoscimento di cui si ignora il legame con la realtà, dato che è stato assegnato anche a un personaggio sinistro come Henry Kissinger. Continuava lo scrittore con queste parole: «Peres era uno dei leader dell’industria delle armi in Israele, era il braccio destro di Ben Gurion, era parte della politica di Golda Meir, che negava perfino l’esistenza del popolo palestinese. E Sharon, come generale, metteva in pratica la politica di Peres».
La fine della pace e il suo «governo del crimine»
Poi nel tempo giunse il cambiamento, la volontà di far la pace con il nemico palestinese. L’operazione, che giunse fino sul giardino della Casa Bianca, si concluse con l’uccisione di Yzhak Rabin da parte di una fanatico ebreo ultranazionalista. Il Peres pacifista, nelle parole e nei fatti, tornò nell’ombra. Si interruppe il processo di pace. Lo scrittore, e giornalista, Gideon Levy nel 2002 gli scrisse una lettera di fuoco. Al tempo faceva parte del governo Sharon: una grossa coalizione ante litteram. Queste la parole di Levy: «Nei 24 anni da che ci conosciamo, questa è la terza volta che ti scrivo una lettera aperta. Devo dire: il governo del quale sei un membro anziano, il ministro degli Esteri, è un governo del crimine. Il tuo silenzio e la tua inerzia non hanno più scuse: Shimon, sei complice del crimine. Continui a servire un governo dalle mani insanguinate, che porge la mano con cui continua a uccidere, incarcerare, umiliare. Così come il ministro degli Esteri talebano fa parte del regime talebano, tu fai parte del regime di Sharon. La tua responsabilità non è minore di quella del primo ministro. Equivale a quella del ministro della Difesa e del capo di stato maggiore, di cui in privato hai severamente criticato l'operato. Sempre e solo in privato».
"Per la pace non ha fatto molto»
La lettera, pubblicata sul quotidiano «Haretz», ebbe un’eco mondiale, per passaggi di questo tipo: «Naturalmente dirai: cosa posso fare io? Non sono stato eletto primo ministro. E non sono stato eletto presidente del Partito laburista. Non sono nemmeno il ministro della Difesa. Hai ragione: in questo governo non puoi fare niente e non stai facendo niente. Proprio per questo non avresti mai dovuto entrarne a far parte. Dirai: ho una certa influenza, sono una forza moderata, sto provando. Sciocchezze. Non potrebbe essere peggio di come è ora, perciò dove esattamente stai esercitando la tua influenza e cosa stai impedendo che accada?». Sul corpo senza vita di Peres si appoggiano considerazioni a senso unico, come è giusto che sia in questi momenti. La realtà, però, è sempre ben più complessa.
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