26 aprile 2024
Aggiornato 05:00
Dopo il summit di San Pietroburgo

Quella spallata del sultano (e di Putin) alla Nato e all’Ue

E' possibile che il vertice del disgelo tra Erdogan e Putin sia il preludio di uno straordinario cambio di equilibri geopolitici? E tutto, per di più, a sfavore dell'Occidente?

SAN PIETROBURGO - Non è solo la fine delle sanzioni russe, imposte alla Turchia dopo l'abbattimento del jet Su-24 lo scorso novembre. Non è neppure la graduale ripresa delle relazioni economiche annunciata da Tayyp Recep Erdogan e da Vladimir Putin, con l'obiettivo dei 100 miliardi all'anno di scambi commerciali; né tanto la promessa di far ripartire l'impegno congiunto in campo energetico per la realizzazione del Turkish Stream. Ciò che l'Occidente, nell'incontro di ieri, ha osservato con più nervosismo - per usare il termine opportunamente scelto dal New York Times - è il simbolismo racchiuso in quel summit. Un simbolismo impossibile da ignorare, visto che, a stringersi la mano, sono stati due leader da tempo schierati su fronti opposti in Siria e che, fino a un mese fa, minacciavano letteralmente di far scoppiare una guerra. Ma oggi, il primo collante tra Mosca e Ankara è innanzitutto la travagliata relazione di entrambi con l'Occidente. 

La carta russa di Erdogan
Occidente che, in effetti, avrebbe più di una buona ragione per riconsiderare i suoi rapporti con l'ambigua Turchia (che, tuttavia, ancora gli «serve» come alleato Nato e come «rubinetto» del flusso di profughi), e che ne ha molte - di buone ragioni - nel guardare con preoccupazione il reset tra Putin ed Erdogan. Perché rapporti più stretti di Ankara con la Russia potrebbero creare tensioni entro la stessa Alleanza atlantica, residuo di dubbia utilità della Guerra fredda che l'amministrazione Obama ha fatto di tutto per riportare al passato splendore. Secondo Aleksandr D. Vasilyev, esperto di relazioni tra Mosca e Ankara dell'Istituto degli Studi Orientali a Mosca interpellato dal New York Times, Erdogan starebbe usando la Russia come carta vincente nelle sue negoziazioni con l'Occidente: perchè a suo avviso, l'obiettivo ultimo del sultano, il fronte a cui si volgono i suoi interessi, non è la Russia, ma ancora l'Ovest. Ad ogni modo, per ora sembra essere il sultano ad avere, nei confronti di Washington e di Bruxelles, il coltello dalla parte del manico. L'impressione è che l'Occidente stia assistendo disarmato allo spettacolo per cui il suo controverso alleato turco stringe la mano al suo peggior nemico - o così, perlomeno, la propaganda occidentale dipinge Vladimir Putin -. 

La sponda orientale che fa tremare l'Ovest
C'è anche chi sostiene che il sultano, più che «usare» la Russia, stia cercando disperatamente una spalla dopo il golpe che, agli occhi del mondo, lo ha evidentemente indebolito. Ed Erdogan, a metà orfano del sostegno di Washington, vedrebbe in Mosca una sponda necessaria per superare l'impasse. Ma se anche fosse così, il risultato non cambierebbe di molto. E il risultato è che una Turchia che guarda ad Est anziché ad Ovest potrebbe imprimere un forte scossone sia alla Nato che all'Unione europea.

Ue e Washington alleati poco devoti?
Del resto, non è un mistero che le relazioni tra Stati Uniti e Turchia, dopo il colpo di stato, si siano almeno momentaneamente raffreddate. Ankara ha subito rimproverato a Washington di aver esitato troppo nel palesare il proprio sostegno al governo di Erdogan, e l'ha addirittura accusata di aver giocato un ruolo attivo nel golpe. Senza contare il vero e proprio scontro diplomatico che si sta consumando in merito alla richiesta di estradizione dell'imam Gulen. Altra «spallata» - almeno dal suo punto di vista - il sultano l'ha ricevuta dall'Unione europea, che ancora non ha provveduto ad obbedire ai suoi ordini liberalizzando i visti per i cittadini turchi, e che ha più volte espresso preoccupazione in merito alla sistematica violazione dei diritti umani in atto in Turchia, situazione decisamente peggiorata dopo il golpe. E la presa di posizione di Bruxelles (per la verità nemmeno troppo muscolare) potrebbe spingere Erdogan a strappare definitivamente quel prezioso pezzo di carta siglato qualche mese fa con la cancelliera Angela Merkel, lasciando che l'Ue vacilli sotto una nuova (vera o presunta) ondata di profughi.

Verso i BRICS?
Bisogna anche dire che Erdogan stava cercando di migliorare le sue relazioni con Mosca già prima del colpo di stato, ma non c'è dubbio che quest'ultimo abbia discretamente accelerato il processo. Inoltre, verosimilmente il summit costituirà soltanto l’inizio di un processo di riavvicinamento e riposizionamento reciproco tra le due potenze: nessun macroscopico «risultato», insomma, potrà probabilmente osservarsi a stretto giro. Eppure, è d'obbligo almeno registrare come il nuovo quadro geopolitico venutosi a creare negli ultimi tempi - con la Brexit, l'euroscetticismo montante, la crisi migratoria, Trump candidato alla Casa Bianca, una Russia sempre più risorgente e la nuova direzione presa dalla Turchia - suggerisce che tanto la Nato quanto l’Ue potrebbero uscirne gravemente ammaccate. Addirittura c’è chi, in maniera forse ancora avventata, ritiene che Erdogan si stia progressivamente allontanando dall’Ovest e dall’Alleanza atlantica per poi volgersi ai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Uno scenario che, ad oggi, rimane ancora ipotetico, ma che in fin dei conti, fino a un mese fa, era del tutto inimmaginabile. E pensare che non è passato molto tempo da quando nelle cancellerie europee si parlava addirittura di spalancare le porte dell’Unione europea alla Turchia. Neppure nella geopolitica – è proprio il caso di dirlo – esistono più le mezze stagioni.