29 marzo 2024
Aggiornato 14:00
E su cosa differisce dal Jobs Act di Renzi

Francia, cosa prevede in 7 punti la riforma del lavoro che sta infiammando il Paese

Sono ormai quattro mesi che la Francia è in balia delle proteste. Ma cosa prevede esattamente la riforma del mercato del lavoro che sta incendiando il Paese, e quanto assomiglia al nostro Jobs Act?

PARIGI - Quattro mesi di proteste, la Francia messa a ferro e fuoco. A una decina di giorni dall'inizio degli Europei di calcio, non si placa la protesta d'oltralpe a causa della discussa riforma del lavoro voluta da Manuel Valls e Francois Hollande. E se ci è mancato poco perché il Paese fosse investito da una drammatica penuria di carburante a causa della chiusura delle raffinerie e dell'estensione delle proteste alle centrali nucleari, sono ora i trasporti, anche aerei, nel mirino degli scioperi. Eppure, il premier Manuel Valls e il presidente Francois Hollande continuano a mantenere la propria linea dura, assicurando che la legge non verrà ritirata. Ma che cosa prevede esattamente la riforma «El Khomri», ribattezzata in Italia il «Jobs Act francese»? E perché ha fatto tanto arrabbiare i lavoratori?

1) Remunerazione degli straordinari
Innanzitutto, potrebbe cambiare la remunerazione degli straordinari. Ad oggi, infatti, le prime 8 ore di straordinario sono pagate il 25% in più, e quelle successive il 50. Con la riforma, un accordo interno all’azienda potrà ridurre la percentuale al al 10%.

2) Orario di lavoro
La durata della giornata di lavoro, attualmente, non supera le 10 ore, ma potrebbe arrivare a 12 in seguito a un accordo di categoria o interno all’azienda. Le ore di lavoro settimanali potranno toccare la soglia di 60. In realtà, il codice del lavoro francese prevede già una simile possibilità nel quadro di «circostanze eccezionali», su domanda della direzione del lavoro. Ma se la legge passasse, ciò potrà avvenire con un semplice accordo interno all’azienda. Altro punto controverso, l'orario degli apprendisti, che ad oggi lavorano 35 ore settimanali, con un massimo di 8 ore di lavoro al giorno. D’ora in poi, il datore di lavoro potrà decidere di far lavorare i suoi apprendisti fino a 40 ore alla settimana, con un massimo di 10 ore di lavoro quotidiane. Anche in questo caso, l’opzione è già prevista dal codice del lavoro, ma se fino ad oggi è necessario l'accordo di un ispettore e di un medico del lavoro, con la riforma costoro dovranno dovranno semplicemente esserne «informati».

3) Indennità
La riforma prevede che le indennità cui potrà aver diritto un lavoratore, in caso di licenziamento irregolare, avranno un limite massimo. Ad oggi è compito del giudice stabilire la somma che un’azienda deve versare al suo dipendente, ma con la nuova legge i criteri saranno fissi, e proporzionati all’anzianità di servizio del lavoratore. Quest’ultimo dovrà ricevere almeno tre mesi di stipendio se avrà lavorato meno di due anni nell’azienda. Chi avrà lavorato oltre vent’anni nella stessa azienda avrà invece diritto a un massimo di quindici mesi.

4) Forfait giornaliero
Fino ad ora, il datore di lavoro ha potuto decidere di pagare il suo dipendente con un forfait giornaliero: così facendo, non gli deve pagare più cari gli straordinari. Tuttavia il dipendente non può lavorare più di 235 giorni all’anno e deve beneficiare di 11 ore di riposo consecutive. Per poter applicare il forfait giornaliero, le aziende devono firmare un accordo collettivo: con la riforma, basterà un semplice accordo tra datore di lavoro e dipendente, e le undici ore di riposo potranno essere frazionate.

5) Reperibilità e riposo
Fino ad ora, il lavoratore in reperibilità - cioè che sta a casa ma può essere chiamato in qualsiasi momento dal suo datore di lavoro - deve essere remunerato. Qualora la legge El Khomri venga approvata, la reperibilità potrebbe trasformarsi in periodo di riposo, e quindi non sarà più conteggiata tra le ore di lavoro. Contrariamente, peraltro, a quanto previsto dal Comitato europeo dei diritti sociali previsto dalla Carta sociale europea.

6) Licenziamento
La riforma prevede anche un allargamento delle motivazioni di licenziamento di un dipendente. Fino ad ora, il codice del lavoro afferma che un dipendente può essere licenziato se l’azienda attraversa delle difficoltà economiche, una «cessazione delle attività aziendali» o delle «trasformazioni tecnologiche». Con la legge, potranno essere invocati due nuovi motivi: «una riorganizzazione necessaria al salvataggio dell’azienda» e «un calo degli ordinativi o del giro d’affari per vari trimestri consecutivi, rispetto alle stesso periodo dell’anno precedente; oppure delle perdite d’esercizio di diversi mesi; oppure un significativo calo delle finanze, o qualsiasi elemento tale da giustificare simili difficoltà». Più semplicemente, sarà possibile licenziare un dipendente per rendere più competitiva un’azienda.

7) Similitudini e differenze con il Jobs Act italiano
A rendere la riforma francese molto simile a quella italiana sono soprattutto i punti che riguardano la facilitazione dei licenziamenti - con una riduzione dei ricorsi davanti al giudice - e l'aumento della cosiddetta «flessibilità» del mercato del lavoro. Ma rimangono delle importanti differenze: in primis, le tutele. In Francia si vuole infatti creare il «conto personale di attività» in cui conservare i diritti assistenziali, previdenziali e sanitari anche nel momento in cui il lavoratore perde il lavoro o passa da un impiego all’altro. In particolare, Valls ha promesso alle parti sociali maggiori tutele per i dipendenti «scarsamente qualificati» e l’aumento delle ore accreditate da 150 a 400. I lavoratori francesi, insomma, rimangono più tutelati di quelli italiani. Infine, i controlli: il Jobs act all’italiana ha introdotto la possibilità per il datore di lavoro di controllare i dipendenti tramite PC o tablet aziendali anche a fini disciplinari. La Francia, invece, va in direzione opposta: gli strumenti di lavoro non saranno monitorati dai datori di lavoro e il dipendente ha diritto alla totale «disconnessione» fuori dall’orario di lavoro.