25 aprile 2024
Aggiornato 12:30
Per Greta e Vanessa sarebbero stati sborsati 11 milioni di euro

Perché nessuno dovrebbe pagare il riscatto ai terroristi (ma molti lo fanno comunque)

La notizia secondo cui l'Italia avrebbe sborsato, ai signori della guerra siriani, 11 milioni di euro per salvare Greta e Vanessa ha riaperto il dibattito sull'opportunità o meno di pagare i riscatti. Un tema su cui la comunità internazionale è molto divisa, ed è difficile trincerarsi dietro all'ideologia

ROMA – Quando Greta Ramelli e Vanessa Marzullo furono rapite in Siria lo scorso anno, la vicenda fu accompagnata da un incessante valzer di polemiche. Tra gli argomenti più dibattuti – oltre all’evidente mancanza di prudenza delle giovani e a varie speculazioni sui motivi che le portarono in Siria –, l’opportunità di pagare o meno un riscatto ai loro aguzzini per riportarle a casa sane e salve. In queste ore, le polemiche si sono drammaticamente riaperte, a seguito della notizia, rilasciata da alcune fonti giudiziarie di Aleppo, di un riscatto di ben 11 milioni di euro pagato dallo Stato italiano. Il cospicuo «gruzzoletto» sarebbe stato spartito tra i signori della guerra locali, e uno di loro sarebbe addirittura stato condannato per essersi indebitamente intascato circa la metà della somma. Nonostante le immediate smentite della Farnesina, una pioggia di critiche si è abbattuta sul ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, colpevole di essere sceso a patti con i fondamentalisti islamici, per di più a prezzo di tanti zeri.

Chi paga i riscatti?
Il vaso di Pandora è stato riaperto, insomma. In effetti, la questione riguarda uno dei più tragici dilemmi rimasti irrisolti nell’ambito della politica internazionale: è giusto pagare un riscatto per liberare propri connazionali? A tale quesito, gli Stati occidentali si rispondono in modo molto diverso tra loro. L’Europa – ha rivelato un’interessante inchiesta sull’argomento del New York Times – è molto propensa ad accettare il compromesso. L’episodio-spartiacque sarebbe avvenuto nel 2003, quando la Germania pagò 5 milioni di euro, sotto l’apparenza salva-faccia di «aiuti umanitari», per liberare 32 ostaggi europei rapiti in Mali: quel denaro sarebbe finito nelle tasche di un gruppo di combattenti destinato a diventare un importante braccio di Al Qaeda. Nonostante le smentite dei rispettivi governi, secondo l’inchiesta gli Stati europei avrebbero in questo modo «finanziato» Al Qaeda e i suoi diretti affiliati per 125 milioni di euro dal 2008 al 2014, di cui 66 milioni pagati nel solo 2013. Il Paese dei record è stata la Francia, che avrebbe sborsato circa la metà della somma totale, liberando il maggior numero di ostaggi (17): la seguono a ruota Spagna, Germania, Svizzera e Italia. Il quotidiano della Grande Mela parla di un vero e proprio business che ingrossa le casse dei fondamentalisti rapitori: dal 2003 ad oggi, sarebbe infatti sensibilmente salito il «prezzo» per singolo ostaggio, da 200.000 dollari fino a 10 milioni, un vero e proprio traffico i cui proventi vengono sapientemente divisi tra i gruppi coinvolti e i negoziatori. Qualche volta – come, pare, nel caso di Greta e Vanessa –, nascono addirittura delle antipatiche controversie.

Chi si rifiuta?
Dall’altro lato, poi, c’è chi opta per la linea dura: in primis Regno Unito e Stati Uniti, che si rifiutano di corrispondere qualsiasi riscatto, ma a volte trattano con i rapitori ad esempio sullo scambio di prigionieri. Una condotta che, per quanto condivisibile in linea di principio, ha dato però spesso i suoi amari frutti: non è un caso che gli ostaggi britannici e statunitensi dell’Isis in Siria siano stati uccisi o siano tutt’ora nelle mani dei propri aguzzini, mentre altri cittadini europei siano stati liberati. La vicenda dell’italiano Federico Motka e del britannico David Cawthorne Haines è esemplare: rapiti insieme in Siria, solo il nostro connazionale è stato rilasciato vivo.

Perché pagare? Perché non farlo?
Come si vede, nonostante una risoluzione Onu dichiari la ferma contrarietà degli Stati a qualunque pagamento, non esiste sulla questione un’unica linea di condotta. D’altra parte, nemmeno è facile trincerarsi dietro all’ideologia, perché se è sotto gli occhi di tutti che trattare con i terroristi e finanziare le loro attività attraverso lauti riscatti sia certamente un’aberrazione, d’altra parte si potrebbe controbattere con l’argomento del «male minore»: davanti all’urgenza di salvare la vita di un proprio connazionale, tutto il resto passa in secondo piano. Anche a voler riportare la questione, da un piano più ideologico, a uno più pratico, i due schieramenti continuano a fronteggiarsi: è indubbiamente vero che il pagamento dei riscatti può essere un incentivo alla pratica dei rapimenti, e può mettere in pericolo altre vite perché fornisce mezzi economici a malintenzionati; di certo, se nessuno fosse disposto a pagare per avere indietro gli ostaggi, il «prezzo» di questi ultimi crollerebbe. Contemporaneamente, però, la scelta di non scendere a patti con i criminali ha una conseguenza drammaticamente tangibile, che è inutile accompagnare con tanti razionalissimi argomenti: la tragica morte di propri cittadini.

Tra etica e psicologia
Il saggista e professore di Bioetica all’Università di Princeton Peter Singer parla, in proposito, della «rule of rescue»: la regola psicologica per cui pesa di più, sulla nostra percezione, il dovere morale di salvare vittime ben precise e di cui si conosce l’attuale stato di pericolo, piuttosto che quello di salvaguardare persone non immediatamente identificabili e potenzialmente minacciate – come chi, in futuro, il pagamento del riscatto (alimentando il sistema e finanziando i criminali) potrebbe mettere in eguale pericolo –. Per il professore, dunque, non è un problema di moralità, ma di psicologia. Perché, secondo l’esperto, se vogliamo metterla sul piano della morale, l’unica posizione valida è la seguente: «I governi che pagano riscatti stanno salvando le vite dei propri cittadini, ma nel farlo stanno esponendo a un rischio più grande le vite degli altri cittadini e di quelli di altri paesi. Il rifiuto di pagare un riscatto a dei terroristi può sembrare insensibile, ma in realtà è l’unica politica veramente etica». Una posizione che, c’è da ammetterlo, non è così facile da sostenere davanti alla disperazione delle famiglie delle vittime.