25 aprile 2024
Aggiornato 08:30
Vincono gli indipendentisti

L'indipendenza catalana non è più una chimera politica

Il voto regionale ha dato agli indipendentisti di Junts pel Sì la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento, maggioranza assoluta se si sommano i deputati dell'altro movimento favorevole alla secessione, la Cup.

L'indipendenza catalana non è più una chimera politica
L'indipendenza catalana non è più una chimera politica Foto: ANSA

BARCELLONA - L'indipendenza catalana non è più una chimera politica: il voto regionale ha dato agli indipendentisti di Junts pel Sì - coalizione trasversale fra i conservatori di Convergencia di Artur Mas e la sinistra di Erc - la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento, maggioranza assoluta se si sommano i deputati dell'altro movimento favorevole alla secessione, la Cup. Insieme contano infatti 72 seggi su 135, (rispettivamente 62 e 10) con il 47,8% (39,6% e 8,2%) delle preferenze.

Di contro, i partiti nazionalisti e centralisti, il Partido Popular (Pp) e Ciudadanos (C's, divenuto seconda forza) ottengono insieme 36 seggi (36,4%) mentre il fronte «federalista» - i socialisti del Psc e Catalunya sì que es pot, espressione di Podemos - conta un aggregato di 27 deputati (21,6%). Va sottolineato quindi che coloro che ritengono necessario un cambiamento dello status quo istituzionale - secessionisti o federalisti - sono ormai il 69% dell'elettorato catalano, distribuiti lungo tutto l'arco politico.

A nulla sono serviti i richiami patriottici

Un risultato che rispecchia sostanzialmente i sondaggi della vigilia: a nulla sono serviti i richiami patriottici - in un senso o nell'altro - degli opposti schieramenti per uno sforzo finale che desse la completa vittoria - in seggi e voti - all'indipendentismo o, viceversa, ne bocciasse almeno temporaneamente le ambizioni: l'affluenza record (77,5%) non ha spostato gli equilibri. Da opzione minoritaria,l'indipendentismo è divenuto quasi maggioranza sociale e tale è destinato a rimanere almeno nel prossimo futuro: dimostrazione della fallimentare gestione della crisi da parte del Pp, che in buona parte ha contribuito a innescarla e che troppo a lungo ha fatto finta che il problema catalano semplicemente non esistesse.

Archiviato dunque anche il voto catalano, il fattore fondamentale da tenere presente è che al termine della maratona elettorale delle amministrative e regionali la scacchiera della politica spagnola è ancora incompleta: per le prossime mosse occorrerà infatti attendere l'esito delle elezioni politiche, a dicembre, che stabilirà quale sarà l'effettiva controparte di Barcellona nel suo braccio di ferro con Madrid. Almeno due mesi di limbo politico che, tenuto conto del fatto che i sondaggi vaticinano la necessità di un accordo di coalizione chiunque sia il vincitore, potrebbero prorogarsi ulteriormente in vista di trattative e negoziati in cui il tema catalano non sarà certo l'ultimo degli argomenti in agenda.

Nell'immediato, gli scenari possibili sono diversi

La prima opzione per gli indipendentisti - che dovranno ora scegliere il presidente regionale, non necessariamente Mas - è culminare il «processo» e proclamare la cosiddetta Dui (dichiarazione unilaterale di indipendenza), superando le perplessità della Cup che riteneva necessaria anche un maggioranza dei voti, oltre che dei seggi: una misura improbabile, in primis per gli avvertimenti europei in merito all'illegalità di una tale decisione e alle sue conseguenze, politiche e soprattutto economiche.

Sebbene la Dui possa considerarsi anche come un ulteriore strumento politico di pressione nei confronti di Madrid - a breve termine, di qui al voto di dicembre, la questione si limiterebbe probabilmente a una guerra di ricorsi alla Corte Costituzionale - sarebbe però difficile, di fronte all'elettorato indipendentista, fare poi marcia indietro in caso di un futuro accordo con Madrid; inoltre, una posizione oltranzista rischia di favorire alle politiche la destra spagnola conservatrice e nazionalista, meno incline alle concessioni.

Più probabile appare quindi un atteggiamento attendista, che costringa ad esempio le forze più progressiste a livello nazionale (socialisti e Podemos) a prendere apertamente posizione a favore di una soluzione di tipo federalista (soprattutto in materia economica) alla quale il governo della Generalitat potrebbe dare poi il proprio assenso senza perdere la faccia - e troppi voti. Barcellona, in altri termini, manterrebbe la spada di Damocle dell'indipendenza per ottenere il massimo possibile da una trattativa con il governo centrale, per poi presentare la relativa intesa come la migliore e più realistica soluzione possibile.

Un giudizio quest'ultimo probabilmente accurato - dietro le quinte, il compromesso sembra rimanere la meta di entrambe le parti, del tutto impreparate a gestire un reale processo di indipendenza - ma che rischia di scontrarsi con l'insoddisfazione dell'elettorato catalano: i precedenti in questo senso infatti non sono affatto incoraggianti, dal mancato trasferimento di molte competenze pur previsto dalla Costituzione (approvata nel 1978, non certo ieri) al più recente ridimensionamento dello Statuto di Autonomia da parte della Corte Costituzionale, proprio su ricorso del Pp allora all'opposizione.

Muro contro muro

Il governo catalano sarà costretto quindi ad esigere garanzie molto severe, garanzie che sarebbe assai più facile ottenere dai socialisti del Psoe che non dal Pp - il quale oltretutto vuole evitare un possibile sorpasso a destra da parte di Ciudadanos e per questo non può mostrarsi troppo accomodante, né prima del voto e forse neanche dopo (visto che C's appare come l'unico possibile alleato ideologico, salvo una Grande Coalizione con il Psoe, già sperimentata nei Paesi Baschi ma inedita a livello nazionale).

L'alternativa a questo processo di riforma costituzionale, una seconda Transicion - che probabilmente conta anche con il beneplacito della Corona, fattore potenzialmente decisivo soprattutto nei riguardi delle forze armate - è un muro contro muro che non si vede che sbocco possa avere, se non appunto un accordo di compromesso: se l'Europa ha bocciato ogni ipotesi secessionista, non ha certo dato carta bianca a Madrid perché risolva la questione se necessario con la forza. Bruxelles di tutto ha bisogno fuorché della prospettiva di un conflitto civile entro i propri confini.

(con fonte Askanews)