19 aprile 2024
Aggiornato 16:30
A quattro anni dall'inizio, il conflitto sembra a un punto di non ritorno

Siria, chi combatte e per cosa, chi non combatte e chi non sa (come l’Italia)

Un'autentica polveriera, quella siriana, dove si scontrano interessi locali e internazionali. Ecco cosa vogliono Europa, Stati Uniti, Iran, Turchia, Arabia Saudita, Russia, e cosa fanno (o non fanno) per ottenerlo

ROMA – 4 anni, 250.000 vittime, 7 milioni di sfollati, di cui 4 all’estero (in gran parte tra Turchia, Libano e Giordania): questo, in cifre, è il conflitto che sta letteralmente smembrando la Siria, e di cui noi, in Europa, riceviamo solo una piccolissima parte delle vittime. Quella siriana, d’altra parte, è un’autentica polveriera: da un lato le forze lealiste, che controllano ormai meno di un terzo del territorio rispetto all’inizio del 2011; dall’altro i ribelli, divisi su più fronti; dall’altro ancora l’Isis, che domina buona parte del Nord-Est del Paese con le sue risorse petrolifere. Oltre a tutto ciò, gli attori esterni, che cercano di influenzare il conflitto senza in realtà riuscirci in maniera sostanziale.

Immobilismo occidentale rotto?
In queste ore, però, sembra che qualcosa si stia muovendo. L’Occidente europeo, fino ad ora restio a intervenire, comincia ad assumere un ruolo più attivo, grazie alle iniziative di Francia e Regno Unito contro lo Stato islamico. A ciò si aggiungano le notizie sempre più pressanti di un intervento russo a fianco di Assad contro il Califfato, notizie peraltro ridimensionate da Mosca. E’ inoltre provato che sul territorio siriano siano presenti soldati iraniani e combattenti di Hezbollah tra le fila delle forze del regime. Dal canto suo, l’Arabia Saudita, in prima linea contro l’Iran in Yemen, è in una posizione particolarmente difficile: attende di poter battere Teheran nella partita siriana, ma rischia – nel farlo – di avvantaggiare l’Isis. La Turchia, invece, è soprattutto interessata a combattere i curdi, piuttosto che i jihadisti.

Agende decisamente contrastanti
Del resto, sul campo di battaglia siriano si incrociano – il più delle volte scontrandosi – le agende dei principali attori mediorientali e internazionali. Come ben sintetizza Stefano Torelli per l’Ispi, gli Stati Uniti, così come l’Europa occidentale, vorrebbero una Siria senza Assad, senza l’Isis e senza la Russia; l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti vogliono una Siria senza l’Iran e possibilmente senza l’IS; la Turchia vuole una Siria senza Assad e, ora, anche senza l’IS, ma soprattutto senza che un’eventuale soluzione alla crisi veda i curdi come vincitori; l’Iran vuole mantenere la sua influenza sulla Siria e, per questo scopo, potrebbe anche essere disposto ad abbandonare Assad per un altro governo «amico», ma soprattutto, insieme alle forze curde, è l’unico attore che (con le sue milizie sciite) sta combattendo sul campo l’Isis; infine, la Russia vuole mantenere i suoi interessi nella regione e una sua posizione nel Mediterraneo orientale. Allo stesso tempo, vede con terrore l’Isis, anche per le ripercussioni che il messaggio jihadista può innescare nelle enclave musulmane russe nel Caucaso.

L’empasse italiano
E l’Italia? Il premier Renzi è stato chiaro: «L'Italia non partecipa a iniziative come quelle che Francia e Inghilterra hanno annunciato di studiare. [...] Le iniziative spot servono e non servono». Una posizione apparentemente lineare, ma che in realtà è più traballante di quanto sembri. Perché se da un lato la sua valutazione, dal punto di vista strategico, è perlomeno legittima, dall’altro in questo modo Roma rischia l’isolamento, proprio mentre aspira a una posizione di primo piano in Libia. Il rischio concreto è che le decisioni di Londra e Parigi la taglino fuori dallo scacchiere mediterraneo, e l’effetto potrebbe essere simile a quello del 2011: allora, l’iniziativa anglofrancese ci spinse frettolosamente ad accodarci contro l’ex amico Gheddafi. Ma se anche, per una volta, il nostro Paese rimanesse fermo nella sua posizione, perché Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti dovrebbero rispondere positivamente a un eventuale appello per la Libia da parte di un’Italia tanto critica sui suoi alleati occidentali?