Tsipras avrà pure «perso», ma la vera sconfitta è l'Europa
Dopo il «no» greco, abbiamo timidamente sperato che Bruxelles potesse imparare la lezione. Invece, l'accordo raggiunto, per Atene, ha un prezzo salatissimo. Forse, avrà addirittura il risultato di far saltare la testa di Tsipras. Che sì, avrà pure «perso»; ma la più grande sconfitta, in tutta questa storia, rimane l'Europa
ATENE – Alla vigilia del referendum, l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz spiegava come, a suo avviso, il vero obiettivo dell’Europa non fosse il raggiungimento di un accordo equo con la Grecia, ma l’eliminazione del suo «pericoloso» primo ministro. Dopo una notte di estenuanti negoziati conclusasi con un accordo di tenore non troppo diverso da quello rigettato dal referendum greco, si può affermare che gli «anti-Tsipras» siano vicini a raggiungere quell’obiettivo.
Il prezzo di rimanere nell’euro
Aumento dell’Iva sui generi di prima necessità, tagli alle pensioni, licenziamenti collettivi, nessun salario minimo né contrattazione collettiva. Non sono state accettate neppure le due ultime richieste di Tsipras: evitare di coinvolgere nuovamente il FMI e di consegnare come garanzia ai creditori i beni privatizzabili. Sul ridimensionamento del debito (in ogni caso minimale) c'è un'apertura, l’uscita dall’euro è stata evitata, ma il prezzo è salatissimo: una Grecia «commissariata» da Bruxelles ed espropriata di sovranità, per di più a una settimana da quello straordinario moto di dignità che è stato il «no» del popolo greco. Dopo il quale, c’è da ammetterlo, l’Europa del Sud ha avuto un sussulto di speranza: ma è durato poco.
L'errore nella strategia di Tsipras
Che cosa è andato storto? Qualche giorno fa, Matteo Faini aveva anticipato, su Limes, come sarebbero andate le cose. Non è stata una predizione di Cassandra, ma una lucidissima analisi fondata sulla cosiddetta «teoria dei giochi». Alla vigilia del referendum, Alexis Tsipras aveva dichiarato che, forte di un mandato popolare, il potere contrattuale della Grecia sarebbe aumentato. Il fatto che così non sia stato è spiegabile proprio in virtù di due piccoli «trucchi» di quella teoria. Il primo consiste nel giocare sulla minaccia che, in un negoziato, tutto sia lasciato al caso. Il trucco, cioè, sta nel minacciare di fare qualcosa su cui poi non avremmo pieno controllo. Per evitare la catastrofe, l’avversario sarebbe più incline ad accettare le nostre proposte. La seconda carta che Tsipras avrebbe potuto sfoderare è il cosiddetto «gioco del pollo»: «due giovani scapestrati fanno una prova di coraggio guidando due macchine in direzione l’una dell’altra. Il primo che gira é un pollo e perderà la faccia agli occhi degli amici, mentre l’altro uscirà vincitore dalla prova di coraggio. Se entrambi girano, la sfida sarà nulla. Se nessuno dei due gira, le due macchine si scontreranno, con conseguenze catastrofiche». Oggi lo possiamo dire: il «pollo» è stato Tsipras.
La fine di Tsipras?
Ciò che al primo ministro è mancato, cioè, è stata l’astuzia di minacciare di ricorrere al referendum prima di indirlo. Se lo avesse fatto, avrebbe minacciato i suoi avversari di perdere il controllo dei giochi se non avessero accettato le sue condizioni, dando l’impressione che lo scontro frontale sarebbe stato inevitabile se non si fossero affrettati a «girare». Anche qualora essi avessero optato per avanzare una proposta da sottoporre al referendum, sarebbero comunque stati incentivati a maggiori concessioni. Quello che Tsipras ha ottenuto, invece, è l’esatto opposto. Il rischio concreto, ora, è che Syriza perda la maggioranza, nei giorni in cui il Parlamento dovrà approvare le sei riforme imposte dall’estero. Forse, Tsipras dovrà varare un governo di unità nazionale. Un’altra opzione, addirittura, è che debba passare la palla a un tecnocrate, o che siano convocate nuove elezioni. La sua colpa, quella di non aver tenuta saldamente dritta la direzione fino alla fine: ma di fronte a banche chiuse, mancanza di liquidità, Grexit e default quasi inevitabili, quella mossa sarebbe stata eroica ma incredibilmente rischiosa. In ogni caso, Tsipras avrà pure, per certi versi, «perso», ma la sconfitta più bruciante, in tutta questa storia, è dell’Europa. Un’Europa che, ormai è chiaro, non diventerà mai come vorremmo che fosse.
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