Colpo di scena, fermi tutti: Tsipras sperava segretamente nel «sì»
Il «no» al referendum greco è stato visto come una grande vittoria di Tsipras. Ma c'è chi crede, come la storica firma del Telegraph Evans-Pritchard, che in realtà il primo ministro ellenico si aspettasse e si augurasse segretamente un «sì». Perché sapeva che accettare le proposte dei creditori sarebbe stata l'unica strada per evitare il disastro
ATENE – Siamo sicuri che il governo greco abbia davvero esultato, mano a mano che gli spogli davano per vincitore il «no» nel referendum di domenica? Siamo certi che fosse quello il risultato atteso? In fondo, i sondaggi hanno sempre registrato un serrato testa a testa tra «oki» e «nai», e, vista la posta in gioco, non era detto che i greci se la sentissero di procedere su un sentiero tanto impervio. C’è chi, addirittura, pensa che Tsipras e i suoi non solo non si aspettassero la vittoria del «no», ma addirittura non se la augurassero. A sostenerlo, Ambrose Evans-Pritchard, prestigiosa firma del Telegraph.
Il referendum-boomerang
Il piano di Tsipras sarebbe stato quello di rendere accettabile la sconfitta agli occhi degli elettori, che a gennaio gli avevano affidato il mandato di rinegoziare il debito di Atene. Per Evans-Pritchard, il primo ministro greco aveva già deciso di accettare le proposte dei creditori, tanto difficili da far digerire al popolo senza perderne il consenso: aumento dell’Iva agli hotel da 7 al 23%, taglio alle pensioni dell’1% del Pil entro il prossimo anno (dopo un abbassamento già praticato del 44%), una nuova stretta fiscale pari al 2% del Pil, tutto questo su un’economia già disfatta dalla crisi e da 5 anni di austerità. Soprattutto, nessun taglio del debito.
Il nodo del taglio al debito
A questo proposito, all’inizio di luglio il Financial Times ha pubblicato una lettera in cui Tsipras accettava quasi in toto le misure previste: particolare che accrediterebbe la teoria di Evans-Pritchard. In realtà, c’è da dire che l’accettazione del governo greco era sottoposta a una condizione: la rinegoziazione del debito. Un punto su cui l’Europa non ha mai voluto fare alcuna concessione, e su cui sembra giocarsi tutta la trattativa: specialmente, dopo che l'FMI ha definito il debito ellenico «non sostenibile», a meno di un taglio del 30% unito a un nuovo prestito da 52 miliardi di euro.
Strategia... fallita?
In ogni caso, le proposte discusse dal Consiglio dei Ministri greco subito dopo il rifiuto della Bce di aumentare la liquidità alle banche elleniche, per Tsipras, sarebbero state troppo estreme: «requisire» la Banca centrale di Grecia sotto leggi emergenziali, stampare una valuta parallela per combattere il collasso del sistema bancario, imporre un taglio di 27 miliardi sui bond greci. Così, Tsipras avrebbe indetto il referendum, ma lo avrebbe vinto inaspettatamente. Secondo Costas Lapavitsas, parlamentare di Syriza, ora «la gente si ribellerà se [Tsipras] tornerà da Bruxelles con un compromesso scadente». Così, quella che sarebbe dovuta essere una vittoria per Tsipras si è trasformata nell'enorme macigno di Sisifo da trasportare su per la montagna.
Se fosse vero, che delusione...
Interpretazione ardita. Se Evans-Pritchard avesse ragione, la «riscossa» greca si svuoterebbe in parte di significato. Interpretazione ardita, anche considerando la forza e la dignità che spirava dalla lettera con cui Tsipras ha annunciato il referendum. Per non parlare, poi, del suo discorso di mercoledì al Parlamento europeo: parole coraggiose, che hanno ricordato a tutti quanto la questione dei debiti nazionali debba essere affrontata una volta per tutte senza tabù, e come, senza equità e giustizia, ogni sviluppo sarà sempre una chimera. Tutta retorica? Speriamo di no. Tsipras piace anche perché sembra incarnare un'alternativa alla solita politica, fatta di interessi e sotterfugi e incapace di ispirare al popolo grandi moti di dignità. Ma se così fosse, per molti greci ed europei la delusione sarebbe cocente.
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