25 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Avanti o popolo di miliardari

Cambiare tutto per non cambiare niente: l'Fmi critica se stesso e la globalizzazione (osannata dalla sinistra radical chic)

Fenomeni di marketing estremo imperversano: l'istituzione più odiata del globo tenta di rilanciarsi con una improbabile autocritica, per giunta parziale

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Christine Lagarde, Direttore del Fondo Monetario Internazionale, durante il pranzo offerto a Villa Firenze dall'Ambasciatore d'Italia negli Usa Claudio Bisogniero, Washington, 8 febbraio 2016
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Christine Lagarde, Direttore del Fondo Monetario Internazionale, durante il pranzo offerto a Villa Firenze dall'Ambasciatore d'Italia negli Usa Claudio Bisogniero, Washington, 8 febbraio 2016 Foto: ANSA/ UFFICIO STAMPA QUIRINALE/ PAOLO GIANDOTTI ANSA

WASHINGTON - Il Fondo Monetario Internazionale nasce al termine della Seconda guerra mondiale, a Bretton Woods, e aveva al centro della sua missione l’integrazione economica post bellica. Si dovevano superare le barriere, anzi le trincee, scavate durante il conflitto, ed erano necessari capitali per riuscire a riedificare l’impalcatura economia, e sociale, che fu travolta dalla guerra mondiale. Il Fmi doveva quindi finanziare le economie dei paesi in via di sviluppo, grazie ai fondi messi a disposizione dai suoi membri: prevalentemente gli Stati Uniti d’America. E così ha fatto egregiamente per molti lunghi anni: e senza timore di smentita si può sostenere che il Fmi abbia trascinato fuori dalla sacche della povertà decine di nazioni, tra il 1950 e il 1960. Questo sebbene non fosse stata scelta come linea ideologica quella di John Keynes, centrata sullo sviluppo cooperativo, ma a prevalere fosse stata quella del banchiere Henry Dexter White: un’impostazione puramente capitalista, in cui il FMI fungeva da banca che finanziava gli Stati, e che ovviamente pretendeva la restituzione di capitale e interessi.

Trasformazione e cambio ideologico
Nel tempo il ruolo del FMI è diventato sempre più ambiguo e pericoloso: di fatto, dal 1971 in avanti si occupa del finanziamento del debito estero dei paesi in difficoltà. Dapprima tali operazioni furono eseguite con nazioni del cosiddetto «terzo mondo», poi fu la volta delle ex repubbliche sovietiche cadute nello sfacelo post comunista, ed infine è stata la volta di stati importanti e solidi. Non solo: il Fmi si occupa anche di concedere prestiti agli Stati membri in caso di squilibrio della bilancia dei pagamenti. In cambio del pacchetto di aiuti concesso, il Fmi impone piani di aggiustamento strutturale, ovvero tagli alla spesa pubblica e liberalizzazioni del mercato interno ed estero.

Non consigli, ma ordini
Non sono consigli: sono ordini che vengono dati ai governi, i quali non possono opporre alcuna resistenza. Questo processo, violentissimo, ha allargato il perimetro dell’azione del Fondo: dal taglio degli sprechi al taglio delle teste. Qualcosa che ha usurpato l'autodeterminazione democratica di interi popoli. Il debito creato con il Fmi dai vari paesi indebitati si è trasformato rapidamente in un perverso meccanismo, che ha strangolato le economie e la democrazia. Un meccanismo classico, vecchio come il mondo. In cambio dei denari in contanti, il Fondo Monetario chiedeva privatizzazioni e tagli alla spesa sociale: lasciando così sul campo economie disastrate e governi fantoccio. L’Italia, nel 2011, durante la grande crisi dello spread, rischiò di incorrere in questo meccanismo. Cadde il governo Berlusconi che però riuscì a resistere all’imposizione di un prestito ponte proprio del FMI.

Un prodotto della sinistra Clinton-Blair
L’incidenza maggiore di queste dinamiche si è avuta durante il tragico ventennio che va dal 1980 al 2000, quando il dilagare del fanatismo neoliberale ha portato il Fmi ad ergersi a giudice del mondo economico, e quindi sociale, di interi continenti. Il mandato politico giungeva ovviamente dagli Stati Uniti, e in particolare dalla presidenza Clinton. Subito dietro all’ex presidente statunitense vi era Tony Blair, ideologo insieme a Giddens della cosiddetta «terza via», ovvero il dominio del libero flusso del capitale nel mondo: di cui il Fmi si fece soldato globale. Il mito dell’austerità, del taglio della spesa pubblica, della privatizzazione dei servizi e delle risorse pubbliche, ha imperversato e continua a farlo tra le fila degli intellettuali di sinistra, probabilmente vittime di antichi sensi di colpa. Solo in tempi recenti alcuni economisti, solo pochi anni fa entusiasti di queste ricette catastrofiche, hanno avuto il coraggio di criticare l’operato del Fmi nonché l’intera impalcatura culturale soggiacente. Tra tutti i sempre citati Stiglitz, Krugman e Fitoussi.

Fmi no global?
Oggi tale processo critico ha raggiunto l’apice del surreale: iI Fmi critica se stesso, il suo operato, la sua impostazione ideologica. Lo fa con veemenza e indignazione. Un cambio di prospettiva così radicale da risultare inverosimile, probabilmente dettato da qualche ufficio marketing che, bontà loro, si è accorto di quanto sia ormai impresentabile agli occhi della comunità internazionale l’operato di questo giudice ingiudicabile del mondo. Che, en passant, non è eletto da nessuno. Il Fmi ha recentemente pubblicato un dossier, dal titolo World Economic Outlook, in cui prende le distanze dalla globalizzazione economica e soprattutto dall’impoverimento scaturente dalla progressiva robotizzazione dell’economia globale.

Il progressivo, ed inesorabile, impoverimento della classe media
Enuncia poi una serie di dati che evidenziano ciò che tutti già sanno: il progressivo, ed inesorabile, impoverimento della classe media europea e statunitense. Ovvero la benzina dei cosiddetti «populismi» che stanno portando all’elezione di personaggi arrabbiati, come Donald Trump. Sotto la lente di ingrandimento, nel rapporto World Economic Forum, è finito in particolare il libero fluire del capitale. Ma nessun accenno di critica viene fatto verso le manovre strutturali che hanno depredato i paesi che hanno ricevuto tali forme di «assistenza». Viene inoltre sottolineata la manifesta sperequazione tra lavoro e capitale, che ha portato ad una radicale polarizzazione della ricchezza nelle economie che si reputavano solide e sviluppate.

Perché questo cambio di rotta?
Le ragioni? Il Fondo non si tira indietro: «Il rapido avanzare delle tecnologie e la globalizzazione dei commerci e dei capitali». Questa è, ovviamente solo una parte della verità. La robotizzazione è un fenomeno relativamente recente, il cui impatto non è stato ancora calcolato. Idem per quanto concerne la globalizzazione dei commerci e del capitale che, nonostante tutti, anche i più accaniti critici di tale modello lo riconoscono, ha trascinato fuori dalle sacche della povertà assoluta centinaia di milioni di esseri umani. Magari relegandoli in condizione di semi schiavitù salariata, come avviene in Asia, ma in ogni caso migliorandone le condizioni materiali. Il gattopardismo del FMI scaturisce dal silenzio inerente la concezione del debito come strumento per l’esproprio, attraverso le privatizzazioni, delle ricchezze di intere nazioni: costrette a vendere, a poco prezzo, qualsiasi tipo di risorsa. Su tutto ciò non una parole di autocritica: è coerente quindi pensare ad un vasto piano di green washing, che con poco sforzo possa ricostituire l’immagine di una istituzione caduta ormai troppo in basso nella percezione comune.