19 aprile 2024
Aggiornato 20:30
Persi 65 miliardi di euro

Mps, Popolare di Vicenza, Veneto Banca e la grande fuga dei (loro) clienti

Monte Paschi Siena, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono protagoniste del preoccupante fenomeno del «banking run». Ma i depositi sono un indicatore importante del loro stato di salute e stavolta i dati parlano chiaro

ROMA – Un metodo infallibile per decretare lo stato di salute di una o più banche è l'indicatore che descrive l'andamento del flusso di denaro dell'istituto di credito. Se i depositi e i conti correnti aumentano, vuol dire che i clienti si fidano e la percezione del mercato è positiva. Altrimenti prenderà vita lo spaventoso fenomeno del «banking run», cioè la fuga dei clienti. Nel primo caso la banca in questione gode di buona salute, nel secondo caso potrebbe essere sul punto di collassare. Secondo voi come se la passano Monte Paschi Siena, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca?

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La fuga dei depositi da Mps, Popolare di Vicenza e Veneto Banca
Monte Paschi Siena, la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono protagoniste di una vera e propria fuga di capitali. Solo nel 2016, dagli sportelli della banca più antica del mondo sono fuggiti oltre 14 miliardi di euro. Una vera e propria emorragia finanziaria all'insegna di un pandemico «si salvi chi può» determinata dall'ondata di panico che si è diffusa sui mercati e tra i clienti dell'istituto senese nei mesi scorsi a causa dell'incerto destino di Mps. Lo stesso fenomeno del «banking run», però, ha caratterizzato anche i bilanci delle banche venete, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. La prima lo scorso anno ha visto defluire oltre 7 miliardi di euro, la seconda 2,4 miliardi: il 10% del totale.

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50 miliardi di euro defluiti in sei anni
Ma se osserviamo il fenomeno a monte, invece che a valle, i dati sono ancora più sconvolgenti. Come riporta Fabio Pavesi su Il Sole 24 Ore, la fuga dei clienti da Mps è cominciata ben sei anni or sono, nel lontano 2010, quando le sorti della banca senese hanno iniziato a vacillare. Da allora oltre un terzo del finanziamento dei clienti è andato perduto: la cifra monstre arriva a 50 miliardi euro e non ha eguali tra le altre big bancarie del Paese. A nulla sono serviti i reiterati tentativi di limitare le perdite con ingenti aumenti di capitale: la crisi si è avvitata su se stessa come una spirale senza via d'uscita. Il caso Mps ha fatto scuola e ha ricordato ai grandi banchieri che il termometro della fiducia è uno strumento delicatissimo e da maneggiare con cura.

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Chi ci perde e chi ci guadagna
Se la temperatura – metaforicamente parlando - sale troppo e tra i clienti e sui mercati si diffonde un sentimento negativo non c'è modo di tornare indietro. Nell'economia finanziaria le profezie tendono spesso ad auto-avverarsi, perché la percezione (o il timore) che possa verificarsi qualche evento induce i soggetti economici ad adottare dei comportamenti che lo fanno effettivamente accadere. Nel caso di Mps, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca i clienti hanno sentito odor di crisi e hanno iniziato a darsi alla fuga, esasperandone ulteriormente la drammaticità. Quello che emerge, guardando i conti degli istituti di credito, è che il deflusso di denaro diventa strutturale se le banche sono in difficoltà e si cronicizza col persistere della crisi. Per questo possiamo dire che le tre banche sopra citate non godono (affatto) di buona salute. Diversamente dalla big italiana per eccellenza, Intesa Sanpaolo, che ha visto affluire nei suoi bilanci circa 20 miliardi di euro degli ultimi tre anni. Anche per le banche vale il vecchio adagio: mors tua vita mea.