18 aprile 2024
Aggiornato 23:30
In arrivo un piccolo balzello?

Airbnb, la sharing economy e l'allergia alle tasse

Concorrenza sleale o mercato parallelo? Il settore alberghiero scalpita e il governo prova a porre un argine. Ma dopo il referendum

ROMA - Airbnb vuole «democratizzare il capitale» e per questa ragione «lavora per trovare un accordo al fine di far pagare le tasse ai propri host in Italia». A dirlo è il country manager della popolare piattaforma, Matteo Stiffanelli. Quindi il tempo della concorrenza selvaggia tra affittacamere ed alberghi tende alla fine? Normative in tal senso già sono presenti, ad esempio in Piemonte, ma spesso vengono saltate a piè pari perché i controlli risultano molto complicati. Quali soluzioni pratiche verranno adottate, non è dato sapere, probabilmente uscirà un tassa sui soggiorni, chissà. Ma da qui a quel giorno potrebbe nuovamente essere rivoluzionato tutto. Ma il futuro del turismo ha un solo nome: Airbnb.

17 mln di ospiti in 193 città
Chi non lo conosce? E’ il portale inventato nella Silicon valley qualche anno fa da Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk, poi divenuti tre fra gli uomini più potenti e ricchi del mondo. Nel 2015 ha raggiunto la cifra record di diciassette milioni di ospiti in 193 città distribuite sul globo terracqueo. Nel 2010, alle origini quindi, gli ospiti furono appena quarantasettemila. Secondo una ricerca condotta da Eugene Sperling, un centro studi interno al gruppo, mediamente le famiglie americane che «affittano» una stanza o un appartamento per almeno sessantasei giorni all’anno riescono ad incassare circa 7500 dollari all’anno. Un cifra importante per un’economia che, come noto, si regge sul lavoro ultra flessibile a scarsa incidenza salariale. Airbnb trasforma semplici cittadini in piccoli imprenditori che possono arrotondare i loro magri guadagni, e questo gli rende parecchio: 30 miliardi miliardi di dollari, più o meno la manovra economica che il governo italiano imporrà tra poco tempo al paese. In un solo anno la sua capitalizzazione è cresciuta di sei miliardi di dollari. Un boom senza precedenti e, al momento, senza concorrenti credibili.

Leva per l’effetto gentrification?
Airbnb rappresentava nel 2015 il 17,2% dell’offerta ricettiva di New York, l’11,9% di Parigi e il 10,4% di Londra. L’esplosione inarrestabile della sharing economy è divenuta nota in Europa soprattutto grazie alla vicenda di Uber. Ma anche Airbn ha avuto problemi. In un editoriale del 2015, il New York Times scrisse: «A NY è in corso un continuo aumento degli affitti e la stagnazione dei salari. La città non può permettersi di avere ancora più appartamenti trasformati in hotel illegali. Ci sono buone ragioni perché il governo regoli gli alloggi: servono leggi per separare sviluppo alberghiero e residenziale, in modo che i turisti non invadano le città riducendo lo spazio per i residenti, e per assicurare che gli inquilini più poveri abbiano posti dove vivere». Ovvero la poco conosciuta gentrification, la trasformazione dei centri città in paradisi dei balocchi, carissimi, per turisti, e la progressiva espulsione delle classi medie verso i sobborghi. Di fatto non esiste città piccola, media o grande dell’occidente deindustrializzato che non stia vivendo questo processo. Fenomeno antico, si pensi alla meravigliosa letteratura di Emile Zola relativa agli ottocenteschi sventramenti di Parigi, ma che ciclicamente viene riscoperto ogni qual volta vi sia una «rigenerazione urbana» impattante.

Socialismo 2.0 - contrazione massa monetaria - fine dello Stato
La parola d’ordine quindi è diventato «condividere». Seppur scevro di qualsiasi rivendicazione ideologico classica, la sharing economy strizza l’occhio ad una sorta di progressismo socialista post moderno. Amatissimo dai giovani, Airbnb è un’offerta allettante per viaggiare a baso costo, con la possibilità aggiuntiva di poter conoscere gente simpatica direttamente nella loro casa. La possibilità quindi di poter entrare direttamente in contatto con culture differenti in poco tempo. Come mangia, dove dorme, cosa fa la sera un abitante del South Carolina o dell’Alaska? Per chi è interessato a queste dinamiche in soggiorno tradizionale in albergo risulta inadeguato. Meglio l’economia della condivisione, in cui il denaro lo consegno direttamente a chi ospita. Caratteristica di tale settore è, però, un fattore che i lettori del Diario conoscono molto bene: la contrazione della massa monetaria. E non solo perché per dormire si spendono pochi spiccioli. Le tasse che Air b&b Italia paga nel nostro paese sono circa 45.000 euro, perché la sede fiscale dei software che gestiscono le transazioni e le prenotazioni è in Irlanda.

Mors tua vita mea
Tutto regolare ovviamente, la normativa permette ad Apple di fare così, e anche ad altre grandi multinazionali. Il problema non è riconducibile al legittimo, almeno a livello normativo, diritto di pagare le tasse dove è più conveniente. Il problema è dato dall’esistenza di paradisi fiscali che portano avanti, all’interno dell’Unione Europea, un effetto dumping che mette fuori mercato qualsiasi altra legislazione nazionale. Non solo: la progressiva fuga di multinazionali, ed anche di privati cittadini che possono schermarsi dietro la creazione di società offshore, rende impossibile l’abbassamento della pressione fiscale sulla piccola media impresa, nonché sui salari. Pressione fiscale, questa sì, fuori scala. L’Irlanda, o il Lussemburgo, si possono considerare mine vaganti dell’economia mondiale, dove affluiscono capitali di ventura che poi vengono reinvestiti, in minima parte nel settore produttivo.

La normativa fiscale europea che inghiotte tutto
La normativa fiscale europea, dove ognuno fa quello che vuole, è il buco nero che sta inghiottendo il sogno di Ventotene. Spesso, come nel caso irlandese lo schema do ut des prevede che a fronte di una normativa fiscale lasca, assai lasca, vi siano investimenti in impianti manifatturieri. In poche parole: ti permetto di non pagare le tasse se metti un fabbrica, anche piccola, sul mio territorio. Aprendo l’orizzonte, in un ottica post globale, perfino la normativa irlandese risulta accettabile. Un paese storicamente composto da sotto proletariato devastato dalla concorrenza cinese, vietnamita, indonesiana etc, cosa può fare per mantenere insieme l’economia?