Il pagellone del 2017: diamo i voti alla MotoGP
Marc Marquez che si è riconfermato fenomeno disumano, Andrea Dovizioso e le altre sorprese positive, la Yamaha e le altre delusioni: ecco promossi e bocciati

ROMA – Dopo aver tirato le somme sui piloti e i team delle quattro ruote, tocca ai loro colleghi delle due finire sotto la lente d'ingrandimento. Ora che la stagione è stata consegnata ai libri di storia, che le tante emozioni che abbiamo provato si sono raffreddate e che anche l'anno solare si avvia alla conclusione, è il momento ideale per fare il punto su un Mondiale di MotoGP ancora una volta spettacolare e imprevedibile, che ha deciso solo all'ultima gara l'esito di un duello davvero inatteso alla vigilia, quello tra Marc Marquez e Andrea Dovizioso.
Marc Marquez: voto 10 e lode. Il sesto titolo mondiale della carriera diventa quasi l'aspetto che fa meno notizia. Vale ancora di più il modo in cui lo ha conquistato: andando all-in all'ultima gara, a caccia di una vittoria di cui non aveva neppure bisogno, rischiando di cadere e poi salvandosi con uno dei suoi ormai proverbiali funambolismi. Il degno coronamento di un campione che, con le sue imprese oltre i confini della fisica, ha riscritto il modo in cui si va in moto.
Andrea Dovizioso: voto 10. Gli è mancata solo la lode dell'iride. Per il resto, Desmodovi ha realizzato la stagione perfetta: iniziata con i galloni di scudiero designato, conclusa da top rider finalmente riconosciuto. Il talento e il cervello non gli sono mai mancati (anche se molti facevano finta di non accorgersene), ma la maturità, la confidenza e anche l'aggressività che ha saputo sfoderare grazie alla sua ritrovata serenità umana e personale sono stati la sorpresa più bella dell'anno. La dimostrazione che la vita può ricominciare anche a 31 anni.
Ducati: voto 10. Le manca ancora un pizzico di costanza di rendimento in più, specialmente nelle piste più strette e tortuose, che ancora mettono a dura prova la sua carenza di agilità e non le consentono di sprigionare tutti i cavalli del suo super-motore. Ma quello che conta è che una moto che cinque anni fa poteva tirare un sospiro di sollievo quando Valentino Rossi riusciva a portarla sul podio, oggi è a pieno titolo la seconda forza del campionato. Il capolavoro di Gigi Dall'Igna.
Johann Zarco: voto 9,5. Voleva diventare debuttante dell'anno, è stato il migliore in assoluto dei piloti non ufficiali. E spesso, approfittando della Yamaha 2016 più competitiva di quella 2017, ha fatto ancora più di così. Il miglior esordiente in MotoGP da parecchie stagioni a questa parte, un sicuro protagonista dei prossimi Mondiali della classe regina. Deve solo imparare a ragionare: va bene la grinta, ma non è che ogni attacco deve trasformarsi in un contatto. Oggi è una mina vagante, in tutti i sensi.
Maverick Vinales: voto 8. Sulla guida, niente da dire. Ha dimostrato (eccome) di meritarsi un posto in un top team, e di essere un potenziale campione del mondo. Non si può dire lo stesso delle sue capacità di sviluppo tecnico: approdando su una moto che non conosceva, avrebbe dovuto accettare con più umiltà le indicazioni del suo esperto compagno di squadra Valentino Rossi, invece di trascinare tutta la squadra in una direzione che si è rivelata disastrosa. Jorge Lorenzo non avrebbe commesso un errore così.
Valentino Rossi: voto 7,5. Quando la stagione peggiore della carriera (Ducati a parte) può valere un giudizio più che positivo. Il quinto posto iridato è ampiamente giustificato dai due infortuni e dalla crisi tecnica della sua Yamaha, ma restano a suo favore la vittoria di Assen, la leadership mondiale, il ritorno lampo alle corse dopo la doppia frattura, la conferma di essere ancora veloce e affamato anche a 38 anni. E scusate se è poco.
Dani Pedrosa: voto 7,5. In piccolo, ha ripercorso la stessa strada di Andrea Dovizioso. Grazie al supporto psicologico di Sete Gibernau, che gli ha insegnato come credere di più nei propri mezzi, è stato in grado di scrollarsi di dosso il marchio di Camomillo, l'etichetta di eterno secondo. Peccato che ci sia riuscito solo a singhiozzo.
Honda: voto 7,5. Giudizio forse sorprendentemente basso, per una squadra che ha conquistato tutti e tre i titoli mondiali in palio. Ma stiamo pur sempre parlando della casa motociclistica più grande del mondo, che ha tutte le risorse economiche ed umane a disposizione per costruire una moto vincente. Quella 2017, complice il passaggio dal motore screamer a quello big bang, si è rivelata tale solo a campionato già iniziato e solo nelle mani di Marc Marquez: il che autorizza l'ipotesi che a fare la differenza sia stato proprio l'asso di Cervera. Onore al merito per lo sviluppo tecnico nel corso della stagione, ma dal marchio di Tokyo complessivamente ci si aspetta di più.
Danilo Petrucci: voto 7. Perfetto nella parte centrale della stagione, un po' troppo deludente all'inizio e sul finale. A tratti ha messo paura a tutti, pure agli altri piloti della Ducati GP17; a tratti è sembrato non guidare nemmeno la stessa moto. La velocità, l'aggressività e la fame non gli mancano: deve trovare una maggior continuità, altrimenti nel 2018 potrebbe rischiare grosso, con un nuovo compagno di squadra promettente come Jack Miller.
Aprilia: voto 6,5. Tra alti e bassi, un'annata di crescita. Per il Davide di Noale, lottare contro i Golia giapponesi non è un compito facile, ma ingaggiando un pilota competitivo ed esperto come Aleix Espargaro è sembrata finalmente imboccare la strada giusta e trovare un'accoppiata in grado di inserirsi sempre più spesso nelle posizioni che contano in qualifica. Sia lo spagnolo che la RS-GP, però, difettano ancora della solidità capace di tradurre la velocità sul giro secco in analoghi risultati sulla distanza di gara.
Jorge Lorenzo: voto 6. Sufficienza (risicata) d'incoraggiamento. Un pilota che nella sua carriera aveva sempre e solo guidato una moto dall'architettura opposta alla Ducati si merita un periodo di adattamento, ma un cinque volte campione del mondo ingaggiato per 12 milioni sonanti all'anno non può permettersi così pochi risultati. Non quando la Desmosedici, nelle mani del suo compagno di squadra, dimostra di essere più che vincente. Nel 2018 non avrà più alibi.
Yamaha: voto 4. Semplicemente inaccettabile. Dopo anni di sviluppo graduale e continuo, la rivoluzione telaistica doveva rendere la M1 più gentile sulla gomma posteriore, insomma una bestia da gara. La realtà ha restituito una moto dal comportamento incomprensibile, viziata, capricciosa e pronta a puntare i piedi ogni volta che la si metteva su un asfalto liscio e caldo. Per i tecnici giapponesi, un flop da harakiri.
Andrea Iannone: voto 4. E se non fosse stato per le scintille emerse sul finale di stagione, sarebbe potuto andare ancora peggio. Certo, il Maniaco ha risentito di una Suzuki che, come la Yamaha, ha preso una strada senza uscita (nel suo caso sul motore) fin dai test invernali. Ma da un pilota che ambisce ad essere campione come lui certi cali di motivazione quando le cose vanno male per tutta la squadra sono imperdonabili. È quando il gioco si fa duro che i duri devono cominciare a giocare.
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