19 aprile 2024
Aggiornato 11:00
Calcio - Champions League

Trionfo Real: generazione di fenomeni

La quarta Champions negli ultimi tre anni e, soprattutto, la seconda consecutiva (non succedeva da quasi trent’anni, ma si chiamava ancora Coppa dei Campioni) consegnano questo Real Madrid alla storia come una delle squadre più forti di sempre. Sono moltissimi i protagonisti di questo ciclo straordinario e forse irripetibile. Ne abbiamo scelti cinque.

La gioia dei calciatori del Real Madrid dopo la vittoria di Cardiff
La gioia dei calciatori del Real Madrid dopo la vittoria di Cardiff Foto: ANSA

ROMA - Si dovrà cominciare, prima o poi, a discutere di quanto sia bravo ad allenare Zinedine Zidane. Il primo protagonista è lui: non lo si cita mai, quando vengono ricordati i migliori allenatori del pianeta, eppure, in quanto a palmarès, ha pochissimi rivali. Da quando si è spostato dal campo alla panchina, ha vinto praticamente ogni competizione a cui ha partecipato. Arriva sulla panchina dei Blancos con il Real già fuori dalla Coppa del Re e lontano dalla vetta in Liga. A fine anno li porta alla conquista della undécima Champions League, mentre in campionato fa il massimo, costringendo il Barcellona ad aspettare l’ultima giornata per laurearsi campione. L’anno dopo, in estate, si prende la Supercoppa Europea (3-2 al Siviglia), e in inverno – soffrendo molto più del dovuto – il Mondiale per Club. In Coppa del Re va fuori col Celta ai quarti, ma è in campionato che fa il vero capolavoro, mantenendo la squadra imbattuta fino a gennaio (quaranta partite, contando tutte le competizioni) e riportando la Liga al Bernabéu cinque anni dopo l’ultima volta. Quindi, ieri sera, la seconda Champions consecutiva. Totale: sette competizioni, cinque vittorie. Probabilmente, nessuno si ricorderà di come giocava il suo Real. Di certo, ha regalato ai giocatori una serenità che con i suoi predecessori (Benitez, ma anche Mourinho) non avevano. E in nemmeno un anno e mezzo di carriera ha già un palmarès che la maggior parte degli allenatori si sognano.

Cristiano Ronaldo
Quella frase lì, la solita («L’unica sua sfortuna è stata nascere nella stessa epoca di Messi»), l’abbiamo sentita mille volte. Ma la questione va affrontata in maniera diversa. L’argentino è più fenomeno, forse l’unico legittimato a ricevere il pass per l’Olimpo e sedersi al fianco di Pelè e Maradona. Ma Cristiano Ronaldo è probabilmente il miglior bomber di tutti i tempi. Dire che questa Champions l’ha vinta da solo sarebbe irrispettoso verso gli altri fenomeni che ha in squadra, però i numeri (o meglio, i tabellini) parlano chiaro. Ai quarti, contro il Bayern, due gol all’andata e tre al ritorno. Poi tripletta all’Atletico in semifinale e doppietta ieri alla Juve. In totale fanno dodici, in questa Champions, la sesta consecutiva in cui va in doppia cifra. Ai tempi del Manchester, come anche nei primi due anni al Real, non era mai andato oltre gli otto gol. Ce lo ricordiamo tutti il primo Cristiano Ronaldo, più spettacolare ma meno concreto. Raggiunti i trent’anni si è reinventato killer d’aria di rigore e adesso segna a raffica e decide finali. Il fenomeno, forse, resta quello del Barça. Ma negli ultimi sedici metri, nessuno, nella storia, è stato più letale di lui.

Florentino Pérez Rodríguez 
Il presidente. Si dirà: ma con tutti quei soldi… È vero: non si può parlare di impresa, quando hai un budget del genere. Però, oltre ai tanti errori, costantemente ricordati, gli vanno riconosciuti i giusti meriti, di cui invece non si parla quasi mai. Da quando, nel 2009, ha ripreso le redini del Real, dopo una prima parentesi (2000-2006) piuttosto fallimentare (quantomeno per gli standard del Madrid), al Bernabéu è arrivato un trofeo dopo l’altro. Gli errori, come detto, li ricordiamo tutti. I principali: lasciar andare Ancelotti e Di Maria, per prendere Benitez e James Rodriguez. Peccati di ego, figli di quella brama di incidere a tutti i costi che quasi mai è riuscito a reprimere. Ma con la scelta di Zidane si è riscattato. In quanti ci avrebbero scommesso? Di sicuro, in moltissimi l’avevano criticato, soprattutto dopo quei primi risultati non proprio esaltanti. Florentino, invece, l’ha sempre difeso. E un anno e mezzo dopo sorride sornione, perché oggi se ne sono accorti tutti che era quella la scelta giusta. 

Casemiro
Il quarto protagonista è nato in Brasile, non distante da San Paolo, ed è uno di quei giocatori di cui raramente trovi qualche video su Youtube, eppure nessun allenatore ci rinuncerebbe. Si chiama Casemiro e nell’undici di Zidane è una pedina fondamentale praticamente da sempre. Il punto più basso di questi ultimi due anni stellari del Real è stato sicuramente il clásico d’andata dell’anno scorso. Il Real ci arrivava distante soli tre punti dal Barcellona, eppure quel pomeriggio al Bernabéu i blaugrana dipinsero calcio e trionfarono 0-4. Uno dei motivi fu la scelta, incomprensibile, di Rafa Benitez di rinunciare al poco spettacolare Casemiro, puntando su una mediana dai piedi finissimi ma assai vulnerabile, firmata Modric-Kroos-James. Da quando sulla panchina del Madrid si è seduto Zidane, il brasiliano non è mai uscito dal campo. Casemiro ha assunto un po’ il ruolo che era di Makélélé nel Real dei primi anni 2000, quello che si sporca le ginocchia e recupera il pallone, per poi passarlo a chi lo sa trattare meglio. Anche se Casemiro è uno che a pallone sa giocare. Lo dimostrano il gol da urlo segnato al Napoli negli ottavi, ma anche quello di ieri sera, in cui è stato anche un po’ baciato dalla fortuna. Da qualche tempo si è anche preso le chiavi del centrocampo della Nazionale. C’è da scommettere che la prossima estate, in Russia, nemmeno Tite, ct del Brasile, avrà tanta voglia di rinunciarci. 

Marco Asensio
Per eleggere il quinto protagonista si potrebbe partire dall’ultimo fotogramma della finale di ieri: il gol di Marco Asensio che ha scritto la parola «fine» sulla partita. In realtà, il protagonista non è tanto il giovanissimo dal sicuro avvenire di Palma di Maiorca, quanto l’intera «famiglia spagnola» del Real, che appare meno, ma ha lo stesso peso specifico di portoghesi, brasiliani e croati vari. E quindi Marco Asensio, appunto. Ma anche Isco, un altro fenomeno che reclama più spazio. E che da quando quello spazio l’ha avuto, complice l’infortunio di Bale, ha dimostrato di meritare a pieno titolo una big europea, sia essa il Real o meno. Un altro protagonista è sicuramente Sergio Ramos. Non spiccherà per simpatia, ma da un paio d’anni è probabilmente il miglior centrale del mondo. Ed è sempre decisivo: sia quando segna, sia quando, come ieri, «si limita» a fare il suo lavoro di difensore. È spagnolo e fortissimo anche Dani Carvajal, uno dei migliori terzini del momento, di cui si parla poco solo perché gioca in una squadra di fenomeni. Così come erano spagnoli, andando indietro nel tempo, altre pedine fondamentali come Arbeloa, Xabi Alonso o Iker Casillas. Ad andare sulle prime pagine sono quasi sempre stranieri costosissimi, strappati alle altre squadre da Florentino Pérez a suon di milioni. Ma, come in tutte le squadre vincenti, è quel nucleo di giocatori della stessa nazione, spesso, a fare la differenza.