19 marzo 2024
Aggiornato 05:00
Una settimana per mediare

MES, i «duri» M5S fanno tremare il Governo

Premier e partiti di maggioranza erano convinti che il sì alla riforma dettato da Vito Crimi fosse sufficiente a superare senza incidenti il voto del 9 dicembre, ma il nuovo strappo rimette tutto in discussione

Luigi Di Maio e Vito Crimi
Luigi Di Maio e Vito Crimi Foto: Riccardo Antimiani ANSA

La lettera dei dissidenti M5s contro il Mes è una doccia fredda per il premier Giuseppe Conte e anche per gli alleati di governo. Premier e partiti di maggioranza erano convinti che il sì alla riforma dettato da Vito Crimi fosse sufficiente a superare senza incidenti il voto del 9 dicembre, ma il nuovo strappo rimette tutto in discussione e a questo punto l'apprensione c'è, eccome. Soprattutto al Senato, dove la maggioranza è risicata. Il punto fermo, per il governo, è che il 9 si vota, non ci può essere alcun rinvio del pronunciamento sulla riforma del Mes.

L'Ue non lo accetterebbe e Pd e Iv non acconsentirebbero mai a rimandare ulteriormente. Il lavoro, adesso, è soprattutto a livello di «moral suasion», si cerca di limitare i danni, evitando almeno il voto contrario dei ribelli. «Servono confronto e pazienza, manca ancora una settimana», sottolineano fonti qualificate del M5s. Per i pentastellati, i pilastri sono due: «No all'uso del Mes e massimo sostegno al presidente Conte». In mezzo c'è lo spazio (tanto o poco si vedrà) per lavorare.

Se i firmatari della lettera si limitassero a non partecipare al voto sarebbe già molto, perché stavolta non è richiesta la maggioranza assoluta come sullo scostamento di bilancio e qualche voto a favore dal centrodestra - nonostante la presa di posizione di Silvio Berlusconi - è praticamente certo.

Venerdì sera c'è l'assemblea congiunta di deputati e senatori M5s proprio sul Consiglio europeo. Nel Movimento si stanno discutendo anche gli assetti dopo gli Stati generali e Palazzo Chigi preferisce lasciar fare questo percorso: «Poi lunedì vediamo a che punto siamo», commentano fonti di governo, convinti che la lettera dei dissidenti possa essere anche un posizionamento interno nell'ottica dello scontro su direttorio-segreteria.

Ma il passaggio è delicato e serve cautela, perché la vicenda può facilmente sfuggire di mano. Per questo anche Pd e Iv, al momento, preferiscono stare alla finestra e vedere cosa succede. In casa Pd fanno notare: «Un conto è se i dissidenti votano contro, altra cosa è se non votano. Noi siamo pronti lavorare per una mediazione, se c'è la volontà si trova una risoluzione che metta tutti d'accordo». A patto, però, che non si mettano in discussione due punti: «Primo, non firmeremo mai un testo che dice 'non prenderemo mai il Mes'. Un conto è lasciare da parte la questione, altra cosa è mettere nero su bianco che diciamo no». Secondo, nessuno pensi di chiedere altro tempo, di proporre un ulteriore rinvio della riforma. «Anche questo - dicono dal Pd - non potremo accettarlo».

(con fonte Askanews)