La Camera approva il ddl Boschi. Renzi guarda al referendum
La Camera ha approvato il disegno di legge di riforma della Costituzione con 367 sì, 194 no e cinque astenuti. Il testo ora torna al Senato per il via libera definitivo, senza possibilità di modifiche. Intanto scalda già i motori il «Comitato per il no», che si batterà, nel referendum, per bocciare la riforma.
ROMA - Un altro sì del Parlamento al ddl Boschi di riforma del Senato e del titolo V, «un'altra maggioranza schiacciante in attesa del referendum», commenta il premier Matteo Renzi. Con 367 voti a favore l'Aula di Montecitorio ha conclusa la prima delle due letture parlamentari che la Costituzione impone per essere riformata, confermando senza modifiche il testo approvato al Senato ad ottobre, quello che ha introdotto le ultime modifiche frutto dell'accordo all'interno del Pd che consentirà ai cittadini di indicare quali consiglieri regionali diventeranno senatori. Sorta di elezione 'diretta', chiesta con forza dalla minoranza dem.
La riforma torna al Senato
Ora non restano che gli ultimi due passaggi confermativi da parte delle due Camere a distanza di tre mesi dall'ultimo pronunciamento: per il Senato si ricomincia subito, a gennaio, forse già la prossima settimana, alla Camera invece bisognerà attendere aprile. Come prevede l'articolo 138 della Costituzione le ulteriori due deliberazioni sullo stesso testo, non più modificabile e quindi prendere o lasciare, aprono la strada per un eventuale referendum confermativo. Che secondo i calcoli del governo, con la conclusione dell'iter parlamentare ad aprile e i tempi richiesti dalla legge per indire la consultazione, potrebbe tenersi ad ottobre.
Renzi guarda al referendum
Soddisfatta Maria Elena Boschi, vera regista del percorso di riforma costituzionale: «Sono molto contenta anche se non è ancora un ok definitivo, ci sono ancora due passaggi da fare». La ministra delle Riforme oggi si è tenuta abbastanza in disparte e non è intervenuta in Aula dopo le dichiarazioni di voto finali come invece aveva fatto tre mesi fa a Palazzo Madama. Renzi al contrario ha dato enfasi al risultato di oggi: è un'altra prova che «niente è impossibile», dice il premier su Facebook, «due anni fa nessuno scommetteva un centesimo sul fatto che questo Parlamento facesse le riforme. E invece è tornata la politica, è tornata l'Italia». Oggi «quarto voto sulle riforme costituzionali: maggioranza schiacciante in attesa di conoscere il voto dei cittadini in autunno». Renzi ha già annunciato che dall'esito del referendum dipende la sorte stessa del suo governo.
Il «Comitato per il no» scalda i motori
E al referendum si prepara anche l'opposizione che ha già raccolto le 126 firme dei parlamentari necessarie a richiedere la consultazione popolare sulla riforma. Il Comitato per il No è stato già costituito da diverse associazioni e sostenuto da Sinistra italiana, ma il Movimento 5 Stelle, pure non aderendo al comitato sosterrà la campagna per il No così come i dieci parlamentari di Possibile, il movimento di Pippo Civati.
Per il No si schiera anche Forza Italia, che pure inizialmente aveva sposato il progetto della riforma del Senato: «Un tema così importante - ha spiegato Maria Stella Gelmini in Aula - non doveva essere piegato a logiche di partito e invece come dimostrano le parole del premier in merito alla politicizzazione del referendum tutto viene tristemente piegato all'interesse di una parte, il Pd». Sulla stessa linea anche la Lega che giudica la riforma «la morte del federalismo».
Area Popolare: «Sostegno al Governo»
Sostegno «convinto» alla riforma dall'alleato di governo, Area Popolare, che però non dimentica la partita aperta sul fronte delle unioni civili e chiede al governo di non rinunciare a tenere unita la coalizione che ha funzionato finora «Il Pd pensa di continuare a cambiare il paese con chi oggi vota la riforma o con chi lo accusa di aver provocato un'emergenza democratica - ha chiesto in Aula Maurizio Lupi - Noi di Ap, coerentemente con la responsabilità che ci siamo assunti voteremo sì alla riforma costituzionale e ci impegneremo per il referendum confermativo ma non rinunceremo alla nostra identità».
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