17 agosto 2025
Aggiornato 23:30
Come previsto i numeri le hanno dato ragione

Boschi resta, sfiducia respinta

I no sono stati 373, i sì 129. La ministra nella replica: «Campagna politica contro il governo e la mia famiglia». Di Battista la attacca in aula. Brunetta vota sì contro le indicazioni di Berlusconi. Ma lui smentisce: «È un errore, non ero in aula».

ROMA - L'aula della Camera ha respinto la mozione di sfiducia al ministro delle Riforme Maria Elena Boschi con 373 no e 129 sì. Esito scontato e numeri solidi che confermano la compattezza della maggioranza intorno alla numero due del governo Renzi. Lei si è difesa oggi a Montecitorio respingendo tutte le accuse di favoritismi nei confronti del padre, appellandosi anche all'affetto familiare. Insomma, è la linea, tutta la vicenda costruita su «maldicenze e dicerie» non è che una campagna politica che punta a indebolire il governo.

Il dibattito è iniziato in sordina con pochi Deputati in Aula
La giornata di Maria Elena Boschi è iniziata di prima mattina a Montecitorio dove, in completo scuro, accompagnata dal suo staff, ha fatto colazione alla buvette per ostentare ancora una volta sicurezza rispetto a quanto sarebbe avvenuto poco dopo in Aula. E in effetti il dibattito è iniziato in sordina con pochi deputati in Aula, ad eccezione dei promotori della mozione, il Movimento 5 stelle. Tanti invece gli esponenti di governo stretti attorno alla ministra, quasi a compensare l'assenza del premier Matteo Renzi impegnato a Bruxelles per il Consiglio europeo. Tra i banchi del governo c'erano Madia, Lorenzin, Alfano, Guidi, Poletti, Galletti, Delrio, Orlando, e pure tanti sottosegretari a cominciare dall'amico Luca Lotti che per primo ha abbracciata e baciato Boschi dopo la sua replica in aula.

Campagna politica contro il governo e la mia famiglia
Nel suo discorso alla Camera il ministro ha quindi sostenuto che la campagna mediatica e politica è basata su «sembrerebbe e pare» e non ha nulla di concreto, quindi ha elencato «la realtà dei fatti» sfidando chi l'avesse ascoltata a confutarla e a trovarla colpevole di qualcosa: «Se i provvedimenti emanati hanno in qualche modo favorito la mia famiglia, se c'è stato favoritismo o una corsia preferenziale sarei la prima a ritenere necessarie le mie dimissioni», ha assicurato. «Chi sbaglia deve pagare, chiunque sia, se ha sbagliato mio padre deve pagare perchè nell'Italia che stiamo ricostruendo non c'è spazio per due pesi o due misure ma tutto questo non lo deve giudicare un talk show». Boschi non ha esitato a rivelare particolari della sua storia familiare e di quella del padre a riprova della sua buona fede: «Lasciatemi dire quello che ho nel cuore: amo mio padre, è una persona per bene, sono fiera di lui e fiera di essere la prima nella famiglia Boschi ad essersi laureata - ha detto -. Mio padre, figlio di contadini, faceva 5 km a piedi andata e ritorno e un'ora di treno per diplomarsi. La storia della nostra famiglia è semplice e umile, non le maldicenze e le meschinità che sono state scritte».
Boschi attribuisce dunque i dubbi sollevati sulla sua condotta all'invidia: «So che fare il ministro a 34 anni può attirare molte invidie ma non mi fanno paura. So che questo fa parte delle regole del gioco e non mi arrabbio», e comunque ha avvertito anche che chi cerca di «indebolire il governo lasci perdere perchè questo governo è attrezzato per respingere gli attacchi e per portare avanti il cambiamento. Non ci fermeranno le bugie e le maldicenze, continueremo ad andare avanti, senza arroganza, ma con il coraggio di chi sa di poter dare all'Italia una nuova opportunità».

Brunetta: Non ho votato sfiducia Boschi, errore materiale
«Non ero presente in aula» al momento del voto sulla mozione di sfiducia al ministro Boschi, dunque «è un errore materiale di cui informo l'aula e chiedo che gli uffici lo correggano». Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia, prende la parola in aula per speigare come mai sui tabulati del voto di oggi risulta il suo voto favorevole alla mozione di sfiducia del M5S alla Boschi mentre la linea scelta da Fi era di non partecipare al voto.