18 agosto 2025
Aggiornato 13:30
Una politica senza più morale

Verdini e la sua sporca dozzina di killer del PD

L'ex braccio destro di Berlusconi lascia ufficialmente Forza Italia e passa in maggioranza. E Renzi, pur di mantenere la poltrona, imbarca un gruppo di impresentabili da antologia. Il Partito democratico è morto: nasce la nuova Democrazia cristiana

ROMA – Alla fine, i tre toscani hanno gettato le maschere. Denis Verdini, ex braccio destro di Silvio Berlusconi, l'uomo che non ha mai disdegnato di sporcarsi le mani con operazioni al limite della correttezza. Luca Lotti, il più fedele al premier nonché, sostengono i maligni, custode dei suoi segreti inconfessabili. E, ovviamente, Matteo Renzi. Sono loro i protagonisti dell'operazione Azione liberal-popolare, il nuovo gruppo nascente al Senato per puntellare la traballante maggioranza: una decina (o poco più) di senatori, che dovrebbero servire ad arginare l'eventuale fuoriuscita della minoranza Pd (che di senatori ne conta circa 25). Insomma, Verdini, che fu regista del trasformismo dei responsabili di Razzi e Scilipoti, stavolta diventa responsabile egli stesso. Un evento, a suo modo, epocale nella piccola storia degli intrighi di palazzo di questi anni bui della politichetta. Più che per lo scioglimento della rodata coppia Berlusconi-Verdini, l'ennesima delle crepe che stanno facendo crollare l'intero edificio di Forza Italia, per la decisione del centrosinistra di imbarcare il fiorentino e la sua sporca dozzina. Troppo facile liquidare tutto con le simpatie personali derivanti dalla comune origine toscana. La realtà è che, accettando il sostegno di alleati scomodi come gli ex forzisti, il Partito democratico ha ufficialmente sancito la sua definitiva morte cerebrale. È questo l'aspetto più epocale di questa vicenda.

Questione morale
Il bulletto Renzi ha alzato ulteriormente l'asticella della sua spregiudicatezza, facendo sedere al suo fianco una manica di parlamentari che il vecchio centrosinistra di Bersani (per non parlare del povero Berlinguer) avrebbe definito per lo meno come «impresentabili». Il primo è proprio Verdini, di cui per brevità evitiamo di elencare tutte le vicissitudini giudiziarie, limitandoci all'ultima, che risale appena ai giorni scorsi: il rinvio a giudizio per la bancarotta del Credito fiorentino. Poi c'è Lucio Barani, scelto come capogruppo proprio perché ritenuto colui che avrebbe meno imbarazzato il Pd: e meno male, visto che si tratta di un fedelissimo craxiano che nella sua Aulla fece edificare un monumento ai «martiri di Tangentopoli» (che si potrebbero anche definire semplicemente «ladri»). Poi Eva Longo, Ciro Falanga e Vincenzo D'Anna, legati a filo doppio con Nicola Cosentino, l'ex sottosegretario di Forza Italia arrestato con l'accusa di collusioni con il clan camorristico dei Casalesi. Infine Compagnone e Scavone, uomini di Raffaele Lombardo, già presidente della Regione Sicilia, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.

Senza vergogna
Il bello è che questi gigli di campo non si limiteranno a votare con la maggioranza. Secondo quanto lo stesso Verdini ha promesso ai suoi, se non cambierà la legge elettorale, per garantirne la rielezione saranno candidati direttamente nelle liste del Pd: a quel punto, scaricata la sinistra, Renzi avrà compiuto il suo progetto di Partito della Nazione, la nuova Democrazia cristiana. È il trionfo della concezione renziana della politica: governare con chiunque, pur di mantenere la poltrona. Il potere per il potere. Una storia che abbiamo visto già fin troppe volte nel passato, alla faccia di chi aveva promesso di rottamare tutto e tutti. Personalmente non abbiamo mai avuto particolare simpatia per il Pd giustizialista o moralista, che chiedeva le dimissioni di chiunque (purché avversario, s'intende) al solo cenno della mano di un magistrato. Ma se l'alternativa è questo Pd totalmente amorale, allora con la morte nel cuore siamo costretti a urlare: aridatece Bersani.