Su scuola e pensioni Renzi si gioca il voto
Le insofferenze dei docenti valgono 3 milioni di consensi. I pensionati che non avranno il rimborso della legge Fornero sono altri 8 milioni. Un pessimo viatico per le elezioni regionali, un anno dopo gli 80 euro...
ROMA – Un anno fa Matteo Renzi si stava preparando alle elezioni europee che ne avrebbero sancito il trionfo: quelle stravinte con un 40,8% senza precedenti. Dodici mesi più tardi è di nuovo tempo di campagna elettorale, stavolta in vista delle regionali: ma prevedere un semplice bis dell'ultimo risultato, stavolta, sarebbe un drammatico errore di valutazione. Ad essere cambiato, e di molto, è il contesto. Nel 2014 Renzi si presentava alle urne volando sulle ali degli 80 euro; oggi, invece, lo zavorrano due massi pesantissimi: la riforma della scuola e le pensioni.
La lavagna non basta
Sul primo tema, l'impressione è che abbia commesso un incredibile scivolone. «Abbiamo sbagliato a comunicare», ha ammesso lui stesso nell'ormai famoso video della lavagna. Che, detta da un politico che ha costruito la sua ascesa proprio sulla comunicazione, è una confessione non da poco. Il messaggio che è passato non è quello della «buona scuola», bensì quello dei «presidi sceriffi», che potranno sostanzialmente assumere e licenziare a loro piacimento: come gli imprenditori fanno con i loro dipendenti grazie al jobs act, come il premier potrà fare con i parlamentari grazie all'Italicum. Beninteso, un sistema che consenta di promuovere i docenti più capaci e di cacciare i fannulloni, come capita in tutti i paesi occidentali moderni, lo vorremmo anche noi. Ma l'unico modo per trasformare questo meccanismo in meritocrazia piuttosto che in arbitrio è accompagnare all'aumento di potere dei presidi anche un aumento di responsabilità. In parole semplici: caro dirigente, i tuoi collaboratori li puoi scegliere tu, ma se poi non riesci a far funzionare la tua scuola sarai tu, non loro, il primo a dover cambiare mestiere. Nell'Italia dei contratti blindati, del tempo indeterminato tombale, dei sindacati, dei ricorsi al Tar, dei reintegri del tribunale del lavoro, delle cause per demansionamento, chi è pronto a scommettere che funzionerà davvero così? Nessuno. In questo modo, Renzi sta banalmente costruendo una struttura scolastica a immagine e somiglianza di quella governativa: fatta, cioè, di quell'autonomia senza contrappesi che lo ha reso, incassata la nuova legge elettorale, il premier più potente nella storia repubblicana.
Voti in libera uscita
Il problema è che gli insegnanti (e le loro sigle sindacali) di questo se ne sono accorti e hanno iniziato a protestare con una forza mai vista negli ultimi anni. A blandirli non è bastata nemmeno la mancetta delle 100 mila assunzioni promesse, una sorta di riedizione degli 80 euro in salsa scolastica, giudicate però da Camusso & Co totalmente insufficienti a stabilizzare l'esercito dei precari. È qui che Renzi ha commesso l'errore più grande: voleva comprarsi i voti dei professori con i posti di lavoro, invece ha finito per rischiare di perderli. E si tratta di un bacino elettorale non da poco: 3 milioni di famiglie che campano sul sistema scolastico in tutta Italia, più in particolare il 30% dello zoccolo duro di elettori storici del partito. A questi vanno aggiunti gli 8 milioni di pensionati altrettanto infuriati perché destinati a non incassare il rimborso della riforma Fornero. In questo caso non si può parlare di errore di Renzi, quanto di sfortuna: una tegola piovutagli tra capo e collo dal tetto della Consulta, che lo ha costretto a far comparire due o tre miliardi dall'oggi al domani. Che comunque basteranno ad aumentare solo gli assegni più bassi, così trasformando, di fatto, il risarcimento in una patrimoniale mascherata. Non certo la misura più popolare come viatico per le elezioni. In compenso, il suo governo si è dimostrato totalmente inefficiente quando si è trattato di aggredire gli odiati vitalizi degli ex parlamentari: si è limitato, di fatto, ad eliminarli per una manciata di condannati, ricordando però così l'esistenza di questo problema all'intera opinione pubblica.
Lo sciatto del Nazareno
Insomma, una serie di pasticci non da poco, per giunta inaspettati, perché commessi da quello che era ritenuto (a ragione) un imbattibile animale da campagna elettorale. Non si tratta, badate bene, di un riflesso di quel «masochismo» di cui ha accusato l'estrema sinistra. Piuttosto, Matteo Renzi si trova ormai talmente a suo agio nella camicia bianca da premier da scordarsi quasi sempre appesa nell'armadio quella da segretario del Pd. Ha una sola fortuna: all'orizzonte non si vedono avversari temibili. Il centrodestra è troppo impegnato nel suo suicidio di massa...
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