28 marzo 2024
Aggiornato 21:00
Per il Ministro Poletti è un costo insostenibile

SEL: il governo dice no al reddito minimo ma finanzia la Orte-Mestre

Per Sel, la scelta operata dal governo di negare la legge sul reddito minimo garantito o di cittadinanza sarebbe di natura prettamente politica. In Italia dieci milioni di persone vivono in uno stato di povertà relativa, sei milioni in povertà assoluta. Il Parlamento europeo nel 2010 chiese all'Italia di procedere con una legge sul reddito minimo, ma dopo cinque anni nulla è cambiato.

ROMA - «È una scelta politica di un governo che si dice di sinistra ma fa cose che rispondono sempre ai soliti noti e potenti che hanno voce». Marco Furfaro, membro della segreteria nazionale di Sel, in un'intervista al DiariodelWeb.it, commenta la decisione del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, di non assecondare le proposte di legge di Sel e Movimento 5 Stelle su reddito minimo garantito e reddito di cittadinanza, entrambe volte a tamponare l'emergenza povertà del nostro Paese.

LO STRANO CASO DEI FINANZIAMENTI AI SOLITI - «È una scelta politica quella di finanziare sempre chi ha voce rispetto a chi non ne ha – sostiene Furfaro –. La questione delle risorse è una questione irrisoria, ma non nel senso che ci sono tantissime risorse, ma perché si tratta di scelte politiche». Il governo, secondo Furfaro, è stato in grado di scovare risorse e fondi per il finanziamento di opere e progetti poi rivelatisi fonte di malaffare e corruzione – ultimo quello che ha visto le dimissioni dell'ormai ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi – ma non riesce a trovare le risorse necessarie per l'istituzione di una legge fortemente richiesta dalla società come quella del reddito minimo o reddito di cittadinanza. «Come sono riusciti a ricavare le risorse per gli 80 euro, come hanno disposto i soldi per la Orte-Mestre, o per l'abbattimento dell'Irap o i contributi per il tempo indeterminato alle imprese – tra l'altro senza vincoli, cioè non finalizzate alla stabilizzazione – il governo avrebbe potuto scegliere di disporre dei fondi per le persone più povere», spiega l'esponente di Sel.

LA POVERTÀ CHE DILAGA - «Invece questo non è stato fatto. È una scelta politica di un governo che si dice di sinistra ma fa cose che rispondono sempre ai soliti noti e potenti che hanno voce». I dati dell'Istat parlano chiaro: dal 2008, anno di inizio della crisi economica, al 2014, i numeri sono raddoppiati in Italia e in Europa. Nel nostro Paese si contano dieci milioni di persone che vivono in uno stato di povertà relativa, mentre sei milioni di italiani si trovano in condizioni di povertà assoluta. Numeri impressionanti cui il governo dovrebbe saper rispondere con una politica più incisiva. «Purtroppo in questo Paese ci sono dieci milioni di poveri attestati dall'Istat, in povertà relativa, che, non essendo rappresentati – e qui metto anche le problematiche di ogni rappresentanza politica, compresa la mia – non riescono a farsi voce», continua Marco Furfaro.

GLI ULTIMI IN EUROPA - Si tratta di una situazione insostenibile, non soltanto dal punto di vista umano, ma anche da quello rettamente politico. L'Italia resta, infatti, insieme alla Grecia, l'ultimo Paese a non aver adottato misure contro la povertà, sebbene da parte dell'Europa sia arrivata una sollecitazione affinché si provvedesse a normare la situazione. I Paesi del nord Europa sono quelli in cui questo tipo di reddito risulta più alto, ma, anche se inferiore, ogni Paese dell'Europa, ormai da decenni, ha proceduto a varare la legge che aiuta chi è più in difficoltà con sussidi economici che permettono per lo meno di sopravvivere. Il fatto che in Italia ancora non ci sia una legge del genere «è assurdo – spiega Furfaro –, perché questa evidentemente prima di tutto risponde ad un criterio di umanità e secondo ad un criterio politico anche europeo. Perché c'è una risoluzione del 2010 del Parlamento europeo, che dice a tutti i Paesi d'Europa di alzare il reddito minimo per la crisi che impera in Europa e poi si rivolge in modo sarcastico e con imbarazzo a Grecia e Italia – e Ungheria, che ha, però, rimediato normando il reddito minimo – dicendo «guardate, è l'ora di mettere il reddito minimo perché ci sono delle persone che stanno morendo di fame»», conclude l'esponente di Sel.

POLETTI E IL NO SECCO AL REDDITO MINIMO - Era il 21 marzo quando Giuliano Poletti percorreva la vie di Bologna nel corteo in memoria delle vittime innocenti delle mafie, al fianco di Libera. Dal palco di Piazza VIII agosto, quel giorno il ministro del Lavoro leggeva alcuni dei nomi delle vittime qualche minuto dopo il leader delle tute blu di Fiom Maurizio Landini. Su quello stesso palco don Ciotti qualche minuto dopo avrebbe urlato a gran voce che è necessaria oggi una legge sul reddito minimo garantito non solo per contrastare l'ingente problema della povertà, ma anche per togliere potere alle mafie. Sabato scorso il numero uno della Fiom sfilava per le strade di Roma in una manifestazione che dichiara di fatto guerra alle politiche sul lavoro del governo Renzi e con la sua Coalizione sociale si schiera accanto a chi chiede che si approvi in breve tempo una legge che garantisca un reddito minimo a chi vive sotto la soglia della povertà. Il ministro del Lavoro Poletti, invece, stronca la possibilità che si scelga la via della legge e promette altre misure contro la povertà. Poletti parla di un «piano operativo nazionale per l’inclusione sociale», gestito da sindacati e terzo settore che mirerebbe, però, soltanto a contrastare la povertà assoluta. Nulla a che vedere, quindi, con la possibilità che si introduca un reddito minimo garantito che finalmente risponda all'esigenza di un diritto sociale imprescindibile, che è quello di vivere fuori dai ricatti di povertà e mafia, vivendo con dignità. Ma, d'altronde, come spiega il ministro, il reddito minimo sarebbe «un costo di molti miliardi, insostenibile per l’attuale bilancio pubblico».