19 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Per la Lega per rilanciare il lavoro ci vogliono meno tasse e più competitività

Fedriga: il governo fa occupazione con il trucco

Fedriga spiega al DiariodelWeb.it il motivo per cui non è Renzi ad avere il merito delle 76mila possibili nuove assunzioni annunciate dall'Inps, che, secondo il leghista, sarebbero parte di una tendenza europea innescata dal QE. In più, contesta le decontribuzioni previste per le imprese, che non hanno carattere strutturale e mettono a rischio la pensione dei più giovani.

ROMA - Sono passati pochi giorni, da quando l'Inps ha annunciato 76mila richieste da parte di aziende per l'accesso alla decontribuzione prevista per le assunzioni a tempo indeterminato. Stime che hanno portato i media e l'opinione pubblica - sulla stregua delle esultanze di parte della politica - a gridare al «miracolo Jobs Act»E' stato Emanuele Prataviera, al DiariodelWeb.it, a spiegare che, con quei numeri, il Jobs Act c'entrava ben poco, attribuendoli, semmai, agli sgravi fiscali introdotti in Stabilità per le imprese. Sgravi, però, solamente congiunturali, e non destinati, invece, a tramutarsi in manovre strutturali. Lo stesso Prataviera, insieme al collega di partito Massimiliano Fedriga, ha presentato un'interrogazione parlamentare proprio a proposito dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali per un periodo di 36 mesi previsto per le aziende che assumono a tempo indeterminato, provvedimento contenuto in legge di Stabilità. Un'interrogazione molto critica sul provvedimento, e per diverse ragioni: «Prima di tutto, purtroppo, non si risolvono i problemi di disoccupazione con misure di questo tipo», spiega Fedriga al DiariodelWeb.it. «Quello che fa la differenza, in realtà, è la capacità di essere competitivi e di produrre per l'impresa», prosegue.

FAVORIAMO LE IMPRESE, MA TUTELIAMO ANCHE I GIOVANI LAVORATORI - «Le aziende possono pure assumere gratuitamente, ma se non hanno nulla da produrre, non sono competitive e in più devono affrontare tutto il monte tassazione che in Italia è tra i massimi in Europa - abbiamo il 68,3% per il total tax rate per un'impresa, contro il 34 della Slovenia e il 50 dell'Austria -, il risultato sarà sempre la difficoltà a produrre e ad avere richieste di personale», afferma Fedriga. «In secondo luogo», aggiunge, «nel provvedimento vogliamo chiarezza per quanto riguarda i lavoratori, in particolare i giovani, perché vogliamo la garanzia che questi tre anni di decontribuzione per le aziende non si tramutino in pensioni inferiori per i giovani quando accederanno al beneficio previdenziale». Insomma, per Fedriga non devono essere i giovani lavoratori a pagare le conseguenze degli sgravi alle imprese. «Devono essere il governo e lo Stato a garantire i contributi: questa era anche la sostanza di una nostra proposta legislativa, volta ad aiutare le imprese per cinque anni, ma intenzionata anche a non voltare le spalle ai lavoratori, perché sarebbe stato compito dello Stato pagare loro i contributi», spiega Fedriga. 

CON I SEGNALI POSITIVI, RENZI NON C'ENTRA NULLA - Nell'interrogazione, Prataviera e Fedriga hanno in effetti manifestato il loro scetticismo «circa le finalità di tali interventi normativi, atteso che l'ampliamento della base occupazionale e la stabilità dei posti di lavoro dipende da una ripresa economica a sua volta generata da misure permanenti di defiscalizzazione per le imprese»: misure permanenti che, al momento, non esistono. Rilevate tali criticità dell'intervento a cui, insieme al Jobs Act, è stato imputato il boom delle 76.000 prossime assunzioni annunciate dall'Inps, a quale ragione possiamo dunque attribuire le cifre sbandierate da Boeri? Di certo, secondo Fedriga, non al Jobs Act o ad altri provvedimenti targati Renzi. «Quei numeri dipendono dal ciclo europeo che ha avuto un leggero miglioramento: basti vedere i dati che ci sono in tutta Europa. Quindi i dati positivi, pur impercettibili, sono dovuti a fattori esterni, tanto è vero che si sono avuti in molte aree d'Europa». Oltretutto, le cifre sono «migliori nel resto d'Europa: è evidente che Renzi non possa averne merito. A questo proposito, è stato realizzato un interessante confronto sul differenziale Italia-Europa per quanto riguarda il governo Letta e il governo Renzi - per non farne una questione di parte -. Tutti i dati, da Letta a Renzi, sono peggiorativi: sia sul debito pubblico, sia sul Pil, sia sulla disoccupazione, e questa è la certificazione del fallimento delle politiche economiche di questo governo», puntualizza Fedriga.

SE DOBBIAMO DARE UN MERITO, DIAMOLO AL QE - «Se possiamo dare un merito a qualcuno riguardo a questi dati», prosegue il vicecapogruppo del Carroccio a Palazzo Madama, "lo dobbiamo attribuire forse alla Bce per l'introduzione del QE. Renzi si vanta tanto che sia merito suo, ma non sa che la Bce è un organo indipendente previsto da tre trattati europei. E spero anche che il premier non si voglia addebitare un altro fattore positivo come la diminuzione del valore dell'euro». Cosa che, invece, negli scorsi giorni il Capo del governo ha indirettamente fatto, definendo il nuovo rapporto euro-dollaro la conseguenza delle politiche di crescita promosse dall'Italia in Europa durante la sua presidenza semestrale. «Renzi è come chi scrive un libro copiando, e si vanta di essere bravo a scrivere. E' drammatico che un presidente del Consiglio usi questi mezzucci per farsi bello davanti al Paese, a cui invece dovrebbe dire la verità». Insomma, il vicecapogruppo al Senato del Carroccio è perentorio: i provvedimenti del governo sul lavoro sono insufficienti, perché del tutto contingenti e non strutturali; in più, prevedendo una decontribuzione per le imprese, mettono di fatto a rischio le future pensioni dei giovani lavoratori. E per quanto riguarda le 76mila possibili assunzioni annunciate dall'Insp, di certo, per Fedriga, non dipendono dalle riforme targate Renzi, ma piuttosto da una tendenza europea generalizzata. Ad avviso della Lega, in ultima istanza,il premier sarebbe riuscito soltanto nell'intento di attribuirsi meriti non suoi.