31 luglio 2025
Aggiornato 09:30
Governo Renzi

Renzi: «Ho una strategia ben chiara»

Nessuna intenzione di cedere ai ricatti dei sindacati, e nessuna intenzione di cambiare strategia come pure gli viene richiesto anche dalle voci critiche nel Pd: Matteo Renzi tiene duro sulla sua linea, non accenna passi indietro o ripensamenti, convinto che la strada imboccata sia quella giusta.

NEWPORT - Nessuna intenzione di cedere ai ricatti dei sindacati, e nessuna intenzione di cambiare strategia come pure gli viene richiesto anche dalle voci critiche nel Pd: Matteo Renzi tiene duro sulla sua linea, non accenna passi indietro o ripensamenti, convinto che la strada imboccata sia quella giusta. Nella conferenza stampa di chiusura del vertice Nato di Newport, il presidente del Consiglio non lascia spazio a chi prova a correggere la sua rotta: la risposta ai sindacati delle Forze di Polizia che minacciano lo sciopero è durissimo («Non accetto ricatti»), quella ai critici della sinistra Pd più morbida ma non meno intransigente («Rispetto le critiche, ma ho una strategia ben chiara»).

Renzi rivendica dunque tutte le sue scelte: dalla pressione su Juncker per un piano di investimenti («Lì ho speso il mio 41%»), alla scelta di puntare sulla poltrona della politica estera («L'Europa sono i valori, non uno zero virgola in più»), fino alla strategia complessiva per riportare l'Italia su un sentiero di crescita. Strategia che mostra segnali «incoraggianti» sui primi due pilastri, le scelte della Commissione Ue e la politica della Bce: da un lato il piano da 300 miliardi annunciato da Juncker, dall'altro il taglio dei tassi deciso da Mario Draghi con effetti positivi sullo spread, sul deprezzamento dell'euro («Non ci metteremo certo a piangere se cala...») e per la liquidità alle imprese («Vigileremo che i denari vadano a loro»).

Resta il terzo pilastro, ovvero quelle delle riforme in casa: «Vanno implementate», dice il premier, confermando di non voler rallentare la corsa. Per dimostrare la sua determinazione, oggi il terreno di scontro è con i sindacati delle Forze dell'Ordine: «Se qualcuno dice 'O fai come noi o è sciopero', allora prego, accomodatevi», dice a muso duro. Replicando ancora una volta lo schema che lo vuole vicino al 'popolo', in questo caso agli agenti sulla strada; e contro le strutture, in questo caso «certi sindacalisti che fanno del male a chi indossa la divisa». Agli agenti fa sapere che è pronto a discutere «del divario con i dirigenti», che una soluzione si può trovare nella legge di stabilità, che anzi si stava trovando, salvo l'atteggiamento appunto di «certi sindacalisti» che ora rischia di far saltare «il canale di dialogo che era aperto su alcuni aumenti». Ai sindacalisti, riserva solo parole di fuoco: «Se pensano che dall'altra parte del tavolo c'è qualcuno che cede ai ricatti, hanno sbagliato tutto».

Oggi non sarà a Cernobbio - Uno schema che il premier applica anche alle categorie produttive: conferma che oggi non sarà Cernobbio, dai «salotti buoni» indicati come responsabili della crisi italiana, e annuncia che sarà invece a Brescia ad inaugurare uno stabilimento di rubinetteria. Ovvero «il segnale forte di un'Italia che ce la fa, di piccole e medie aziende che continuano a investire e a crescere. Io sarò lì».

Solita sicurezza - Insomma le pressioni crescenti nel PD per un cambio di atteggiamento da parte del premier non sembrano per ora trovare alcuno sfogo. Anzi: dal vertice Nato Renzi torna mostrando la solita sicurezza. Che riferisce di aver usato anche al tavolo con gli altri leader di governo, sia sul ruolo della Nato che sull'aumento delle spese per la difesa. Anche in questo caso raccontandosi come chi sovverte gli schemi. Sul primo punto riferisce del suo intervento, «non so quanto apprezzato ma non importa», per chiedere che la Nato sia più rapida non solo nel dispiegare le sue forze «ma anche di pensiero: nessuno aveva immaginato il califfato, significa che servono più intelligence e più vision...». Sul secondo punto, «mi hanno preso per un provocatore», però se la Ue intende vincolare gli Stati membri a spendere almeno il 2% del Pil per la Difesa, allora «ho chiesto che il differenziale tra quello che si spende oggi per la Difesa, l'1,2% nel caso dell'Italia, fino al 2% venga tolto dal Patto di stabilità europeo».