18 agosto 2025
Aggiornato 03:00
I guai del premier

Per Renzi, pochi consensi a Bruxelles, molti dissensi a Roma

Dall’Ecofin arrivano molti paletti sulle sue richiese di flessibilità: alcuni segnali di apertura sono giunti dall'olandese Jeroen Dijsselbloem. Ma il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble è inamovibile: «le riforme non sono una alternativa all’equilibrio dei conti». Intanto in Italia si complica per il premier il cammino verso il cambiamento.

ROMA - Ogni giorno ha la sua pena, recita l’adagio, ma sempre più frequentemente la dose di amaro quotidiano per il premier raddoppia e si sdoppia: un po’ è targata Bruxelles, un po’ è targata Roma. Cominciamo con Bruxelles.

Poliziotto buono, poliziotto cattivo
«Se le riforme strutturali ci sono veramente, non solo promesse ma attuate con un effettivo impatto sul bilancio, questo potrebbe fare sì che ad un paese venga concesso più tempo sul risanamento», ha affermato il presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem. Uno spiraglio, un piccolo raggio di luce in fondo al tunnel del rigore senza scampo? Se lo è stato, è stato di breve durata.
«Le riforme strutturali non devono essere una alternativa, una scusa per non fare il risanamento dei bilanci» su cui gli Stati sono impegnati, ha affermato Wolfgang Schaeuble Il ministro delle Finanze della Germania che al termine dell’Ecofin ha piantato paletti di ferro sulla flessibilità nei conti pubblici in cambio di riforme.
Il tutto mentre all'avvio della presidenza italiana dell'UE, all'Ecofin, su impulso del ministro dell'economia Pier Carlo Padoan, si è discusso di come si potrebbero «incentivare» le riforme strutturali nei paesi, cercando di sfruttare la flessibilità previsa dal Patto di Stabilità e di crescita, quello che fissa le regole sulla gestione dei conti pubblici.

Niente sconti all’Italia per il digitale
«Ennesima gaffe di Renzi. Questa mattina si era impegnato a 'escludere dal Patto di stabilità Ue ogni singolo euro investito in infrastrutture digitali'. E subito è arrivata la smentita del commissario ad interim agli affari economici, Siim Kallas, per cui 'nessuna spesa può essere esclusa dal calcolo del deficit', perché 'non ci sono spese buone e spese cattive'», ha subito rimarcato Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, nel suo quotidiano attacco a Matteo Renzi.
Pur emendando le parole di Renato Brunetta dall’ uso strumentale con il quale le ritorce contro i progetti europei del premier resta il fatto che la giornata non è stata di quelle che si possono definire proficue per le necessità italiane e ad ammetterlo è stato lo stesso ministro dell’Economia, Padoan dopo che l’annuncio di Renzi sulla possibilità che gli investimenti in tecnologie digitali potessero essere escluse dal computo del deficit era stato respinto da Bruxelles.
«La crescita in Europa va perseguita con tutti gli strumenti all'interno delle regole esistenti'. Ma sappiamo tutti bene - ha dovuto correggere il nostro ministro - che all'interno delle regole esistenti, salvo miracoli di Renzi, le infrastrutture digitali rientrano nel calcolo del deficit. Così come da anni si discute sulla famosa 'clausola per gli investimenti', o 'golden rule' che dir si voglia, e sullo scomputo dei cofinanziamenti ai fondi europei dal rapporto deficit/Pil. Ma è solo discussione. Neanche Renzi è riuscito a far passare le istituzioni Ue dalle parole ai fatti, nonostante ci abbia fatto credere di aver cambiato verso all'Europa nel Consiglio europeo del 28 giugno scorso».

Roma: dai due forni più pericoli che prospettive
Veniamo ora alle vicende interne. Quante possibilità ha Matteo Renzi di non scottarsi le dita nel gioco dei due forni che sta conducendo fra Grillo e Berlusconi? Al di là delle dispute interne al 5Stelle, va detto che il giovane Di Maio sta conducendo bene la partita, tanto più se , come dicono i dietrologi, ha dovuto combattere una battaglia contro lo stesso Grillo. Il vice presidente della Camera, è stato al gioco di Renzi, ha accettato tutte le condizioni che il premier ha posto al Movimento per aprire un dialogo sulle riforme. Ha tolto cioè ogni alibi a Renzi per rifiutare il confronto, che infatti si farà.
Ma soprattutto sta costringendo  il presidente del Consiglio ad esporsi e a dovere ammettere che il patto del Nazzareno deve reggere nonostante tutto. Nonostante, cioè la disponibilità dei 5 Stelle ad offrire soluzioni molto più vicine alle posizioni originarie del Pd di quelle imposte da Berlusconi.

Di Maio guadagna un punto
«Io parlato con Renzi? No, si facciano sentire loro adesso, ci facciano sapere loro quello che devono fare. Ma soprattutto, se Renzi si fida solo di Berlusconi, lo dica. Il PD doveva esser il partito della velocità. Sono 20 giorni che dobbiamo incontrarci. Meno male che è il partito della velocità..." , ha affermato Di Maio, avendo fatto guadagnare oggi un punto alla sua causa.

Le minacce dei Popolari
Ma intanto, oltre alla pattuglia dei dissidenti Renzi se la deve vedere con i Popolari . «Un presidente del Consiglio in avanzato stato di delirio di onnipotenza prende impegni senza avere la minima cognizione dei numeri parlamentari che servono ad affermare quei risultati. Lo aspettiamo tranquillamente in aula», minaccia il senatore dei Popolari per l'Italia, Tito Di Maggio.

Cicchitto (NCD): su Senato e legge elettorale mani libere
Ma la nota più dolente porta la firma di un alleato, cioè del partito di Alfano.  «Le riforme che mettono a tacere la Bundesbank e i rigoristi di tutte le nazionalità sono: la riforma del mercato del lavoro con particolare riferimento all'art.18, la restituzione alle imprese dei debiti della Pa, riforme fiscali che intervengono in primis sui costi delle imprese, la riforma della giustizia, la definizione della legge di stabilità, la liquidazione in questo quadro di una parte almeno dei costi derivanti dalle partecipate degli enti regionali e locali e un organico progetto di spending review e di redifinizione dei costi standard per ciò che riguarda le regioni», ha affermato Fabrizio Cicchitto del Nuovo Centro Destra che ha poi precisato: «all'Europa e alle forze produttive di alcuni aspetti della legge elettorale non interessa nulla, e le giuste questioni poste a quel livello da Renzi non c'entrano; se vengono invocate , è solo per evitare che si apra un confronto senza ipoteche surrettizie. Di conseguenza, sul cambiamento di merito del Senato e ancor di piu' sulla nuova legge elettorale evidentemente il NCD ha le mani libere».