Ilva, per l'Italia pronta una procedura d'infrazione in Europa
La Commissione europea si appresta a mettere in mora Roma su due punti: il mancato rispetto delle prescrizioni previste dall'autorizzazione per le emissioni (Aia) e per non aver imposto all'azienda le misure di recupero sulla responsabilità civile per danno all'ambiente
BRUXELLES - Una procedura comunitaria d'infrazione contro l'Italia per il caso Ilva è pronta sul tavolo della Commissione europea e dovrebbe essere varata il 26 settembre, a meno di sorprese dell'ultimo minuto. Sorprese comunque possibili, anche perché il giorno prima il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando incontrerà a New York il commissario Ue responsabile, Yanez Potocnik, e cercherà probabilmente di guadagnare altro tempo.
Già lo scorso fine settimana è pervenuta a Bruxelles una lettera di Orlando, hanno riferito fonti della Commissione. Il ministro italiano, che nella lettera «ha elencato tutte le difficili decisioni e misure prese dal governo», sta evidentemente cercando di scongiurare l'avvio della procedura, che aggiungerebbe tensioni ulteriori in una partita già molto complessa.
I DUE PUNTI NON RISPETTATI - La Commissione ha chiuso ad agosto la fase di pre-contenzioso (Eu-Pilot) cominciata nel marzo 2012, volta a evitare, se possibile con una soluzione concordata, l'avvio della vera e propria procedura d'infrazione. Le risposte da Roma sono state insoddisfacenti, e l'esecutivo Ue si appresta dunque a mettere in mora l'Italia sostanzialmente su due punti: per il mancato rispetto delle prescrizioni previste dall'autorizzazione integrata ambientale (Aia) per le emissioni inquinanti, che l'Ilva ha ottenuto in applicazione della direttiva Ippc (Industrial Pollution Prevention and Control), e per non aver imposto all'azienda le misure di recupero previste dalla direttiva del 2004 sulla responsabilità civile per danno all'ambiente.
LA PROCEDURA - Una volta avviata la procedura, la lettera di messa in mora darà due mesi di tempo al governo per rispondere ai rilievi di Bruxelles, e in caso di risposta insoddisfacente sarà seguita da un «parere motivato» che concederà altri due mesi all'Italia per mettersi in regola, pena un ricorso in Corte europea di Giustizia.
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