18 aprile 2024
Aggiornato 20:00
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Cosa ci sarà dentro la proposta di emendamento sul Fintech italiano

Tre mesi di audizioni alla Commissione Finanze della Camera porteranno alla presentazione di una proposta di emendamento, da inserire nella Legge di Bilancio 2018, per favorire lo sviluppo del Fintech italiano

Cosa ci sarà dentro la proposta di emendamento sul Fintech italiano
Cosa ci sarà dentro la proposta di emendamento sul Fintech italiano Foto: Shutterstock

ROMA - Ormai siamo agli sgoccioli. Entro pochi giorni, probabilmente già prima del ponte dell’Immacolata, sarà presentata la proposta di emendamento a firma del deputato del PD Sebastiano Barbanti sulle nuove norme da inserire all’interno della Legge di Bilancio 2018 al fine di favorire - anche nel nostro Paese - lo sviluppo delle tecnologie che operano in ambito finanziario. Il cosiddetto Fintech che secondo l’osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano ha raccolto negli ultimi 6 anni, a livello globale, oltre 26 miliardi di dollari.

L’emendamento che sarà proposto nei prossimi giorni è risultato delle audizioni portante avanti dalla Commissione Finanze della Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’impatto delle nuove tecnologie nel settore della finanza. Un’indagine partita lo scorso settembre e che ha visto la partecipazione altresì delle più grandi aziende attive in questo settore in Italia, dalla Consob a Intesa Sanpaolo, da Banca Sella a una delle startup italiane che hanno raccolto più capitali in Italia, Satispay. Ora, a distanza di tre mesi, si tirano le somme. «Sono molto soddisfatto di ciò che emerso è durante le audizioni - ci ha spiegato il deputato Sebastiano Barbanti -. Se avessimo avuto più tempo avremmo potuto approfondire meglio alcuni verticali, ma credo che i risultati raggiunti finora possano testimoniare il nostro impegno a favore dell’innovazione e della tecnologia. E sono sicuro che anche l’emendamento che andrò a proporre troverà approvazione. Il Fintech non è un’opzione, è una necessità. Abbiamo purtroppo perso l’EMA, facciamo dell’Italia la nuova capitale del Fintech».

Dalle piattaforme di peer-to-peer lending che generano inclusione finanziaria ed economica al crowdfunding, dalle (molto discusse) ICO che consento alle startup un accesso al mercato dei capitali diretto e a basso costo alle piattaforme di invoice trading che permettono alle aziende di aumentare il capitale circolante. La tecnologia che ha rivoluzionato il settore della finanza ha permesso una sua maggiore democratizzazione, un aumento della tutela degli investitori per la trasparenza e l’efficienza superiore, un incremento della concorrenza, una maggiore personalizzazione dei servizi. E proprio tecnologie quali intelligenza artificiale, blockchain, cloud computing, big data, algoritmi e reti neurali, robo-advisor devono essere anch’esse oggetto dell’attenzione delle istituzioni sia per valorizzarne i potenziali di sviluppo, sia per gli eventuali impatti sulla funzionalità e sulla tenuta del sistema finanziario in caso di utilizzo non corretto o illecito.

Regole uguali per tutti
Certo, bisogna fare attenzione a regolare un fenomeno dalla portata così disruptive come il Fintech, che nasce - peraltro - «grazie alla normativa europea che ha creato uno dei contesti innovativi più all’avanguardia a livello mondiale dando l’opportunità a nuovi operatori di affacciarsi su questo mercato», come ha dichiarato Alberto Dalmasso (Satispay) in una delle audizioni. Ed è stato proprio lo stesso Alberto a chiedere al Governo di «non complicare ulteriormente le normative europee che sono state già scritte molto bene», con l’obiettivo primario di consentire sia a italiani che europei di ricevere servizi finanziari da realtà basate in Italia. Un certo disappunto l’aveva manifestato anche Gian Maria Gros-Pietro presidente di Intesa Sanpaolo, facendo leva sul paradigma «same services, same risk and same rules» e invitando il Governo a introdurre una normativa che garantisca stessi diritti e stesse regole, per evitare (addirittura) un «abuso di posizione dominante» da parte delle Tech Company.

ICO e Bitcoin
L’«hype» generato di fronte a questo argomento sta portando (purtroppo) alla cosiddetta asimmetria informativa dove sono - al momento - davvero poche le persone in grado di destreggiarsi affabilmente all’interno di questo segmento. Se da una parte c’è la necessità di favorire una normativa che abbia lo scopo di facilitare l’evoluzione delle FinTech nel nostro Paese, dall’altro sono ancora molti i dubbi relativi al ruolo che il bitcoin e le criptovalute potrebbero avere rispetto alla moneta corrente. E molti i timori: «Sicuramente non c’è pericolo che possa sparire la sovranità della moneta corrente. Bitcoin non è una moneta e, se lo è, è una moneta volontaria basata sulla libera accettazione tra le parti. Per questo vedo un futuro dove le criptovalute, al più, potranno affiancarsi alla moneta corrente, ma non sostituirla», aveva detto nella prima audizione Stefano Capaccioli, presidente di Assob.it. Il tema delle ICO è altrettanto complesso e, per il momento, possiamo unicamente fare riferimento ai documenti pubblicati dall’ESMA (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) che mettono in guardia emittenti e compratori di ICO degli eventuali rischi connessi. Del resto, negli ultimi 12 mesi sono stati raccolti 3,3 miliardi di dollari in circa 200 ICO lanciate rispetto ai soli 70 milioni di dollari raccolti lo scorso anno. Il fenomeno ha una portata esponenziale, ma porta co sè anche numerevoli insidie. L’ICO, infatti, non è altro che l’emissione di una moneta virtuale con il quale il compratore acquisisce alcuni diritti che potranno essere esercitati nell’ambito dei servizi offerti dall’emittente. Non tutti gli emittenti, però, sono in grado di emettere una moneta, ma emettono - in realtà - dei token ovvero un insieme di codici pseudo casuali basati su un codice sorgente al quale è attribuibile un valore economico. Il motivo per cui speso vediamo ICO milionarie è che questi token possono successivamente essere scambiati sui crypto exchange, quindi potenzialmente venduti (a seconda della domanda e dell'offerta) a prezzi anche molto più alti di quelli ai quali si sono acquistati durante le ICO. Il vero problema infatti, è proprio nella regolamentazione (o nella decentralizzazione) degli exchange che permettono il libero scambio dei token e delle criptovalute senza attuare (nella maggior dei casi) nessun controllo sulle società che li emettono.

L’emendamento sul Fintech italiano
Cosa ci sarà dentro l’emendamento del Fintech italiano? E’ probabile che il testo faccia in parte riferimento alle proposte già presentate qualche giorno fa durante l’audizione di Alessandro Lerro, di AssoFintech il cui obiettivo primario è quello di portare più capitale alle imprese del Paese proprio attraverso gli strumenti Fintech. Si va dall’equity crowdfunding alle società quotate. Ma non solo. Secondo il deputato Sebastiano Barbanti sono 3 gli assi su cui un progetto «Italia Fintech Friendly» dovrebbe muoversi:

a. Sandbox, già uno dei punti di forza del Regno Unito (in UK il Fintech occupa 60mila persone con un indotto su 135mila persone e genera oltre 9 miliardi di dollari di utili). Il sandbox è un ambiente di testing per le startup assistito dai regulators. In Italia diventa fondamentale costruire un «sistema regolato graduale» di legislazione che consenta alle aziende di sperimentare i loro servizi e prodotti con un impatto estremamente limitato destinato alla sola clientela professionale, per un periodo di tempo limitato e sotto la supervisione dei regolatori che al contempo potranno studiare da vicino l’innovazione e adeguare opportunamente i sistemi di vigilanza. «Non si tratta, quindi, di derogare alla regolamentazione attuale né di creare un contesto normativo differente e di vantaggio - ha detto Barbanti -. Di tale ambiente potrebbero, tra l’altro, anche farne parte gli intermediari tradizionali con tutto vantaggio della competitività e dell’innovazione continua».

b. La creazione di un ambiente in cui coesistano regulators, Amministrazione Pubblica, Centri di Ricerca, fondi di Venture Capital e startup Fintech consentirebbe di creare un ecosistema favorevole per lo sviluppo del settore e per l’attrattività di aziende nel paese. Un progetto simile ha già preso il via a Milano lo scorso settembre, grazie alla collaborazione tra Banca Sella e Copernico (Fintech District).

c. Attirare capitale umano di elevato livello: «Abbiamo bisogno di un adeguamento della politica di formazione, di far rientrare i nostri cervelli e di attrarre competenze dal resto del mondo. Bisogna sostenere la ricerca in tutte le aree di Fintech costruendo una leadership accademica e tecnologica nel settore. I moduli Fintech dovrebbero essere inclusi nei corsi di laurea pertinenti per esporre gli studenti all'industria Fintech e a loro volta per esporre l'industria Fintech ad un corpo di studenti istruiti e pronti al lavoro», ha concluso Barbanti.

Ora non ci resta che attendere il documento ufficiale. Con tanta gioia (speriamo) delle startup. E anche delle banche. O no?