18 aprile 2024
Aggiornato 10:00
La Siria nel mirino all'Onu

Siria, è davvero attacco chimico? Polemiche e tanti dubbi

La comunità internazionale ha subito condannato il regime siriano per l'attacco, ma ci sono molte cose che non tornano affatto in questa ricostruzione

DAMASCO - La notizia è atroce, di quelle che ricorrono spesso di questi tempi. Il bilancio dei morti del presunto "attacco" chimico sulla località siriana di Khan Sheikhun, roccaforte dei gruppi armati che si oppongono al regime di Bashar al-Assad, è salito a 72 vittime, tra cui 20 bambini. Ma il bilancio è ancora provvisorio perché si contano molti dispersi.

Attacco immediato dall'occidente
La comunità internazionale ha subito condannato il regime siriano per l'attacco e Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Dal canto suo, il comando militare siriano ha categoricamente negato le accuse. E in difesa di Damasco si è schierata la Russia, storico alleato della Siria, sostenendo che le bombe lanciate dall'aviazione siriana avevano nel mirino depositi di armi e una fabbrica di munizioni nella periferia est della città.

Situazione complessa
Le polemiche non si placano. Ma la situazione complessiva lascia planare qualche dubbio. Assad e il suo regime sono da tempo nel mirino di tutte le potenze occidentali e dei loro alleati regionali, nel quadro del più ampio conflitto che vede di fronte un Islam lacerato tra sunniti e sciiti. Falangi armate che si affrontano in tutto il mondo senza esclusioni di colpi e guidate, rispettivamente, da Arabia Saudita e Iran.

Cosa non torna
Ma nel momento in cui i nuovi scenari geopolitici sembrano migliorare, non di poco, il futuro del regime di Damasco, potentemente appoggiato da Mosca, non si capirebbe oggi il senso di un attacco con i gas da parte dell'esercito siriano, per di più sotto gli occhi di tutto il mondo. Non si tratta infatti di una decisione che può sfuggire di mano per iniziativa di comandanti subordinati. La catena di comando operativa è lunga e complessa. Bisogna che governo e stato maggiore della Difesa decidano l'impiego dei gas, l'azione deve essere pianificata con cura, demoltiplicati gli ordini ai vari livelli locali per stabilire tempi, orari di decollo e rientro, rotte d'attacco, obiettivi. Emanare gli ordini operativi per prelevare dagli arsenali le armi chimiche prescelte, armare i cacciabombardieri, inviarli sul bersaglio guidati dagli acquisitori d'obiettivo sul terreno, allontanare unità amiche dal raggio d'azione dei gas e verificare i risultati. Senza dimenticare che le forze armate siriane sono sotto stretta tutela strategica da parte dei "consiglieri" militari di Mosca. Che, in questo momento soprattutto, non avrebbero mai autorizzato l'intervento. Per ragioni di convenienza politica se non umanitari. E poi.

Qual è la valenza tattica di un attacco con i gas su una località già sotto assedio?
L'utilizzo di gas può essere eventualmente previsto, nonostante le leggi internazionali, se è l'unico "utile" modo per ottenere il risultato auspicato o per moltiplicarne gli effetti. A Khan Sheikhun artiglieria pesante e attacchi aerei convenzionali avrebbero ottenuto lo stesso risultato - massacrare decine di persone, donne e bambini compresi -, spianando gli edifici da attaccare con bombe ad alto potenziale "normali" ma che, curiosamente, sembrano fare meno effetto sull'opinione pubblica. Pur causando gli stessi danni.

Ma allora come sarebbero morti i civili di Khan Sheikhun?
È in questa luce che la tesi esposta dal ministero della Difesa russo, quello dell'esplosione involontaria di un arsenale ribelle, assume se non credibilità, almeno qualche parvenza di logica.