20 aprile 2024
Aggiornato 15:30
La guerra scoppierà prima di marzo?

Gerusalemme capitale, l'ultimo passo verso la guerra all'Iran arriva dagli Stati Uniti

L'asse Usa, Arabia Saudita, Israele sempre più saldo. Il cerchio si stringe intorno all'Iran e alla Russia. L'inquietante figura di Jared Kushner domina la politica estera statunitense. Putin resterà bloccato fino a marzo dalle prossime elezioni politiche?

Donald Trump, Jared Kushner e Vladimir Putin
Donald Trump, Jared Kushner e Vladimir Putin Foto: ANSA

TEL AVIV - Al di là della gravità dell’annuncio fatto dal presidente Trump – lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme – si pone la reazione dell’Arabia Saudita, la teocrazia finita nelle mani di un principe fanatico, Mahamad Bin Salman. Salito al potere da qualche settimana, il principe MbS sta marciando a ritmo sostenuto verso la guerra frontale con l’Iran. Lo fa apertamente, spendendo fiumi di dollari, combattendo in Yemen e imponendo colpi di stato appena velati in Libano. In questo senso va letto il silenzio dell’Arabia Saudita, all’annuncio statunitense: uno scambio. L’Arabia Saudita accetta il dato di fatto, in cambio spera di avere sostegno militare quando ci saranno da regolare i conti con l’Iran. La regione procede spedita verso la guerra totale, nella piena incomprensione dell’opinione pubblica occidentale.

Gerusalemme capitale?
Dopo l’umiliante sgridata che Israele ha imposto all’Italia, imponendo agli organizzatori del Giro d’Italia di cancellare la dicitura «ovest» da Gerusalemme – che sarà la sede della partenza della prossima corsa Rosa – giunge un passo ancora più sostanzioso. La risoluzione 181, ovvero il piano adottato dall’Assemblea generale delle NU (29 nov. 1947) per la spartizione della Palestina mandataria in due Stati: uno ebraico, comprendente il 56% del territorio, l’altro arabo, sulla parte restante, mentre Gerusalemme sarebbe stata corpus separatum sotto l’amministrazione delle NU. Approvata a larga maggioranza dopo lunghi negoziati preliminari, fu accettata dallo yishuv ebraico e respinta dalla comunità araba, e non fu mai attuata. La decisione di Trump demolisce il diritto internazionale, per altro labile, e chiude la pietra tombale sul processo di pace che ha rovesciato le posizioni iniziali. Ora si aspetta una contropartita per i palestinesi, per tenerli buoni. La decisione è sconcertante non solo per ragioni politiche, ma anche religiose. Le tre religioni abramitiche affondano le loro radici nella città antica, dove sono presenti il muro del Tempio, sulle cui rovine è stata eretta la Moschea di Al Aqsa, terzo luogo sacro dell’Islam. A poca distanza è presente la chiesa del Santo Sepolcro. 

Chi comanda a Washington?
Il passo di Trump mette in evidenza molteplici aspetti: il presidente Usa non è in grado di badare a se stesso. Sotto ricatto, non per le inesistenti ingerenze russe ma per ben altri scheletri, tenta disperatamente di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica con prodezze di tal fatta. Tentativi di compiacere quelli che contano veramente, gli stessi che lo attaccano e vorrebbero vederlo cadere. Inquietante, in tal senso, la figura del genero, Jared Kushner, che gli analisti inquadrano sempre più come il vero manipolatore del presidente. L’asse sarebbe Nethanyau, MBS e Kushner: essendo i tre molti vicini. Scenari inquietanti: il Corriere della Sera, e non solo, riporta la notizia che Kushner e il pruncipe saudita sarebbero gli artefici del piano concluso da Trump, che per altro prevede la capitale dello Stato palestinese, di quel che rimane di un territorio groviera, nel «sobborgo» di Abu Dis, una periferia desolata lontana da tutto.

La telefonata a Putin
Trump riconosce quindi che Israele ormai ha stravinto la guerra cinquantennale e si merita la sua capitale. In fondo gli Usa sono nati e si sono sviluppati cacciando via i nativi e rinchiudendoli dentro dei piccoli  territori protetti. Non solo: la comunità arabo musulmana dopo aver scatenato guerre perdenti e senza cognizione da tempo mal sopporta la resistenza palestinese. Comunità che ha minacciato manifestazioni di collera. In primis la Turchia di Erdogann che ha alzato i toni per far contenta la base elettorale che lo sostiene. Idem, tutti gli altri paesi della Lega Araba, probabilmente il contesto dove siedono i peggiori nemici della causa palestinese. Dalla Russia non giungono reazioni isteriche: il premier palestinese Abbas ha telefonato al presidente Putin chiedendo la protezione di Gerusalemme. Una richiesta pleonastica, sui cui il presidente russo ha convenuto, ma senza lanciarsi in condanne per una situazione ormai data.

La guerra all'Iran prima delle elezioni russe?
Le incognite nella regione sono di Iran, Libia e Siria, che vedono crescere l’aggressività della trio Arabia Saudita, Israele, Usa. Lo spostamento della capitale da Tel Aviv a Gerusalemme, nella piena impotenza della comunità internazionale, manifesta il ventre molle internazionale in cui si possono portare avanti operazioni di guerra. Le prossime elezioni politiche russe, previste per marzo, potrebbero essere il tempo opportuno per avventure belliche molto pericolose. Il presidente Putin non potrà avventurarsi in operazioni come quella siriana, che anzi tende alla conclusione. Si tratta quindi di disinnescare, da parte della Russia, le schegge impazzite del medio oriente con la sola forza della diplomazia e della pressione economica.