19 marzo 2024
Aggiornato 09:00
Guerra in Siria

Finisce l'assedio economico che doveva far crollare Russia, Iran e Venezuela: il petrolio torna a 70 dollari

La guerriglia economica scatenata dall'Arabia Saudita in sede Opec doveva provocare la caduta di Putin, Rohani e Maduro. E' durata sei anni, con gravi conseguenze deflattive e sull'economia italiana

ROMA - Il prezzo del petrolio che torna a salire grazie ad un accordo in sede Opec ha un solo significato: la guerriglia economica che doveva portare al collasso dell’economia russa, iraniana e venezuelana è terminato. A cedere, per dissanguamento, sono stati gli assedianti, le cui economie non hanno resistito ad un regime di prezzi insensato durato quasi sei anni. L’accordo sul prossimo prezzo del petrolio segue la vittoria della coalizione a guida russa sull’Isis, l’esercito terrorista che doveva abbattere il regime di Assad in Siria prima, e l’Iran moderato subito dopo. La presa di Raqqa, nonché la dispersione nel deserto degli ultimi «guerriglieri», hanno posto la parola «fine» ad una crisi che poteva solo trasformare il mondo intero in un braciere nucleare.

Tutto ebbe inizio nel 2011...
Tutto inizia nel 2011, nel tempo delle rivoluzioni arabe che ben presto perdono l’afflato liberale e democratico originario, e vengono trasformate in strumenti per regolare antichi conti rimasti aperti nel mondo arabo e non solo. Cade la Libia di Gheddafi, ancor oggi un paese demolito dalla guerra civile, mentre manifestazioni di massa – colorate – si ergono in Siria a Iran. Subito appare chiaro che dietro le quinte, al di là dell’estetica giovanile, liberale e progressista, si muovono forze oscure, servizi segreti occidentali e signori della guerra locali. Il prezzo del petrolio, parallelamente, crolla: una discesa che trascina con sé l’economia dell’Iran, della Russia, e quindi della Siria. Il disegno è piuttosto chiaro: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Israele e Arabia Saudita, l’Italia si accoda quando cade il governo Berlusconi, considerano avversari nella migliore delle ipotesi, nemici nella peggiore, la Russia e tutti i suoi alleati strategici.

Tutti contro Putin
Prende forma lo schema secondo cui «il nemico del mio nemico è un mio amico»: quindi si creano alleanze spurie, per lo più indirette, come quella tra Israele e Arabia Saudita, che vedono nell’Iran una minaccia alla loro supremazia nella regione. La Siria intanto si trasforma in un mattatoio, la Russia viene scossa da una violenta crisi economica, l’Iran si incammina sulla strada della rivolta popolare. Sono tre paesi che vivono grazie alle esportazioni di risorse naturali, in particolare combustibile fossile. Ovviamente, la caduta di Russia e Iran rappresenta un ottimo boccone economico per le multinazionali del petrolio, anche perché dall’altra parte dell’oceano un altro componente del nuovo «asse del male», la Venezuela di Maduro, è anch’esso attraversato da una guerra civile dovuta alla crisi economica. Russia, Iran, Venezuela: da soli rappresentano il 35% delle risorse petrolifere mondiali. 

Bombe in Siria, recessione in Russia
Più la situazione sul campo di battaglia, la Siria, diventa sanguinosa, più Bashar al Assad rischia di essere fucilato dai rivoluzionari - poi si scoprirà senza ombra di dubbio che sono gli stessi che mettono le bombe in occidente che fanno strage di inermi cittadini - più il pezzo del petrolio scende. Una condizione che, peraltro, mette sotto pressione l’intera economia globale, schiacciata da una spirale deflattiva che porta ad un ristagno del consumi. L’intervento della Russia sul piano militare, in Siria e non solo, rimescola le carte. La Turchia che commerciava con i terroristi petrolio in cambio di soldi viene regolata dalle immagini che i militari russi mostrano al mondo, in cui si vede chiaramente la colonna di autotreni che porta fuori dai territori controllati dall’Isis enormi quantità di greggio, poi venduto sul mercato nero a prezzi stracciati. Peraltro dopo che un aereo dell’aviazione militare russa viene abbattuto dalla contraerea turca: una provocazione per trascinare la Russia nel conflitto aperto.

Un epilogo che ha un solo vincitore: la Russia
Rimangono i pesi massimi, in primis l’Arabia Saudita, che per compiacere gli alleati devasta il suo debito pubblico portando l’estrazione al massimo possibile, stroncando ogni accordo in sede Opec sul prezzo del greggio. Il ricchissimo stato saudita, una teocrazia fanatica e corrotta, si trova ad affrontare un dissanguamento economico che lo porta a privatizzare parte dell’Aramco – la compagnia nazionale petrolifera - nonché a subire un colpo di stato che vede salire al potere Mohammed Bin Salman, «principe» e nuovo califfo integralista. Il prezzo del petrolio scende nei momenti di massima pressione a trenta dollari: l’economia russa registra una calo del Pil a doppia cifra. Si spera che Putin cada, che si apra una rivoluzione colorata anche in Russia. Ma la guerra contro i terroristi dell’Isis viene vinta proprio dalle forze russe schierate in Medio Oriente, senza particolare sforzo sul piano militare, come era ovvio che fosse. La Siria di Assad non cade, Assad – un macellaio come gli altri – non cade, l’Iran resiste all’urto dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti, mentre la Russia riesce a strutturare un mercato interno che ammortizza l’impatto delle sanzioni e diversifica l’economia. A peggiorare la situazione scoppia una violenta guerra civile in Yemen, condotta da sciiti e violentemente repressa dall’Arabia Saudita, che si macchia degli stessi crimini di cui è accusato Assad. Ma bombardamenti  pesanti non sono sufficienti, e l’Arabia deve cedere anche su quel fronte. L’assedio attraverso la leva del petrolio a prezzi stracciati termina in questi giorni, con l’accordo in sede Opec tra Russia e Arabia, che fa alzare il prezzo del greggio a 70 dollari al barile.