Petrolio, con virus e guerra dei prezzi il peggior collasso dal 1991
Un capitombolo che è arrivato a toccare il meno 30% e che ha avuto ricadute sia dirette su tutti i titoli dei giganti petroliferi, spesso rilevanti sugli indici azionari delle Borse

MILANO - E' stato un collasso di portata storica del petrolio, quello che ha segnato la riapertura dei mercati in questo drammatico avvio di settimana. Un capitombolo che è arrivato a toccare il meno 30% e che ha avuto ricadute sia dirette su tutti i titoli dei giganti petroliferi, spesso rilevanti sugli indici azionari delle Borse, sia indirette esacerbando un già elevato allarmismo per la diffusione del coronavirus e le sue ricadute sull'economia. Ha così contribuito non poco a riscatenare vendite da panico generalizzate.
Alla base del collasso dell'oro nero, la deriva cui si è assistito dopo venerdì scorso tra i grandi produttori a seguito del vertice allargato dell'Opec Plus. Il fallimento di concordare una linea di risposta al coronavirus con nuovi tagli, chiesti dall'Opec e su cui spingeva il primo produttore globale, l'Arabia Saudita, e respinti dal primo degli esportatori non allineati, la Russia, è ulteriormente degenerato nelle ore e giorni successivi.
«Guerra dei prezzi»
Il non accordo su nuovi tagli, infatti, innanzitutto comporta anche non aver concordato di proseguire quelli già in essere. E quindi, teoricamente, da fine marzo porte aperte a qualunque aumento produttivo. In più, secondo concordanti indiscrezioni di stampa, l'Arabia Saudita per ripicca starebbe già offrendo sconti consistenti sul suo greggio, in modo da mettere sotto pressione la Russia. L'effetto concomitante di meno domanda, più produzione e sconti ha avuto un esito drastico sulle quotazioni.
Sulle prime i prezzi de barile hanno segnato cadute dell'ordine del 30%, con precedenti unicamente nella prima guerra del Golfo, risalente al 1991. Ma secondo alcuni esperti al momento c'è addirittura la peggiore combinazione ribassista sui prezzi dalla grande depressione degli anni '30 del secolo scorso. Il barile di Brent, il greggio di riferimento del mare del Nord, che la scorsa settimana si scambiava ampiamente sopra i 50 dollari è caduto fino ad appena 31 dollari. Successivamente riduce solo in parte del perdite ad un meno 18% a 37,08 dollari. Il West Texas Intermediate, che era crollato a 27,34 dollari, si attesta al meno 19% a quota 33,30 dollari.
Il peggio deve ancora arrivare
L'oro nero può essere stato catalizzatore di questo lunedì nero delle Borse, ma in realtà è il quadro di fondo che ha portato allo stesso crollo de petrolio il vero motivo di allarme. Le valutazioni degli analisti non fanno che peggiorare. Secondo Joachim Fels, del gigante dell'asset management Pimco citato dal Financial Times, ora l'ipotesi di una recessione di Stati Uniti e eurozona è tutt'altro che remota, mentre è quasi certa sul Giappone. «E il peggio deve ancora arrivare», avverte.
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