24 aprile 2024
Aggiornato 01:30
Il premier libico ha chiesto l'aiuto internazionale

Libia, Washington bombarda Sirte. E ora tocca all’Italia?

Su richiesta dell'esecutivo libico, Washington ha sganciato le prime bombe su Sirte, capitale locale dell'Isis. Che farà l'Italia, a cui mesi fa è stata affidata (almeno a parole) la leadership?

TRIPOLI - Solo qualche giorno fa, l'uccisione di tre soldati francesi nella parte orientale della Libia aveva sollevato numerosi dubbi in merito a quali forze l'Occidente avesse nella polveriera nordafricana, e in quale missione impegnate. Quell'incidente, in effetti, aveva suscitato un certo scalpore perché, secondo quanto riportato dalle fonti internazionali, i militari di Parigi stavano collaborando con il generale Haftar, nemico giurato dell'Isis ma anche del governo di unità nazionale di Fayez al-Serraj. Il quale, non a caso, ha subito chiesto spiegazioni a Parigi, ricordando che qualsiasi intervento non autorizzato dall'esecutivo sarebbe stato visto come «illegale». In queste ore, invece, qualcosa è cambiato: perché alcuni aerei militari statunitensi hanno bombardato lo Stato islamico a Sirte, capitale libica di Daesh, questa volta su esplicita richiesta del governo dello stesso Serraj.

La campagna aerea Usa
Richiesta che è giunta dopo lunghi dibattiti sul futuro del Paese. Già alcuni mesi fa, in effetti, a Washington e nelle principali cancellerie europee si parlava di un intervento imminente, mentre il segretario alla Difesa americano Ashton Carter annunciava che la leadership delle operazioni sarebbe stata dell’Italia. Tutte ipotesi allora liquidate dallo stesso premier al-Serraj, che dichiarò, in un editoriale sul Telegraph, di non volere né scarponi né navi straniere sul suolo libico. Sulla stessa linea si è collocato, allora, il governo italiano, che ha posticipato momentaneamente l’onore (e l'onere) della leadership, almeno finché non avesse avuto il via libera dell’esecutivo libico. In queste ore, le condizioni sembrano cambiate. E benché sembra ancora certo che non ci saranno «boots on the ground», per il dipartimento della Difesa americano quei raid sono solo l’inizio di una campagna aerea per appoggiare le milizie libiche che da giugno stanno cercando di riconquistare la città di Sirte.

Prima solo forze speciali
Non che, già prima dei raid, forze occidentali non fossero presenti sul suolo libico. Tuttavia, ufficialmente si trattava solo di «forze speciali» di Francia e Regno unito, impegnate in delicate «operazioni di intelligence». Formula che può voler dire tutto e niente, come ha dimostrato la triste circostanze dell’uccisione dei tre soldati francesi nell’Est del Paese. Circostanza che ha suscitato particolare scandalo perché il generale Haftar con cui sembra che gli occidentali stessero collaborando ha di fatto formato un «governo parallelo» nella parte orientale della Libia, alternativo a quello ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite. Haftar ha in effetti cercato in ogni modo di ostacolare la formazione dell’esecutivo di Serraj, e combatte – con l’appoggio di Egitto e Arabia Saudita – soprattutto a Bengasi, città al momento controllata da diverse milizie indipendenti, tra cui molti gruppi formati da estremisti religiosi.

Ora tocca all'Europa... e alla Francia?
Ma ora che gli States hanno «rotto il ghiaccio», sono attesi ulteriori sviluppi in Europa. Dal canto suo, la Francia ha approfittato della circostanza per cercare di recuperare i rapporti diplomatici con la Libia dopo l’incidente, ribadendo il suo «pieno sostegno» al governo di intesa nazionale. In una conversazione telefonica con al-Sarraj, il capo della diplomazia francese Jean-Marc Ayrault ha inoltre «accolto con favore la decisione delle autorità libiche a fare appello per aiuti internazionali, in particolare su obiettivi terroristici a Sirte».

E l'Italia?
Soprattutto, però, si attendono le prossime mosse di Roma, che della missione – almeno stando al dibattito dei mesi scorsi – dovrebbe essere la coordinatrice. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha dichiarato prudentemente che il Governo valuterà «se ci saranno richieste», aggiungendo: «se prenderemo una decisione ne daremo informazione al Parlamento». Gentiloni si è però anche augurato che l’intervento americano a Sirte sia «risolutivo», visto che – ha voluto ricordare –  «la Libia è il Paese da cui proviene il 90% dei migranti che giungono sulle nostre coste e dunque la sua stabilizzazione è particolarmente importante».

L'annosa questione della leadership
Insomma: Roma entrerà in guerra? Concederà l’uso delle sue basi aeree? Per il momento, la posizione dell’esecutivo è ancora prudente. Una prudenza che forse poco si concilia con la prospettiva della leadership, visto che, ancora una volta, l’Italia è stata «sorpassata» da Washington. Il cui intervento, peraltro, ha consentito alle truppe governative di Tripoli di avanzare ulteriormente a Sirte, conquistando il quartiere centrale di Al-Dollar.

L'importanza di Sirte
Ad ogni modo, non c’è dubbio che la caduta della città libica – dove sono presenti almeno 1000 combattenti dell’Isis – infliggerebbe un durissimo colpo allo Stato islamico. Sirte si trova infatti più o meno al centro della lunga fascia costiera libica, a poche centinaia di chilometri da alcuni dei principali pozzi petroliferi del Paese. Daesh l’ha occupata nel febbraio 2015, trasformandola nella sua roccaforte più importante fuori da Siria e Iraq. Il timore principale era che i jihadisti riuscissero a creare lì una base permanente, punto di riferimento in caso di sconfitta fuori dalla Libia e proprio a ridosso dell’Europa – anzi, dell’Italia –.  A maggior ragione per questo, si attendono le prossime mosse di Roma. Che altrimenti potrebbe rischiare di farsi soffiare anche questa occasione di leadership, peraltro in un teatro per lei tanto strategico.