19 aprile 2024
Aggiornato 12:30
All'indomani del Consiglio Nato-Russia

La Nato provoca, Putin risponde. Ma lo fa giocando d’azzardo

Siamo nel 2016, ma potrebbe essere il 1962. Per certi versi, l’escalation tra Nato e Russia sembra riproporre un panorama da Guerra fredda. Ma chi, tra i due attori in gioco, ha «rotto l’equilibrio», costringendo l’altro a rispondere? E, in questo quadro, perché Putin ha deciso di annettere la Crimea?

Il presidente russo Vladimir Putin.
Il presidente russo Vladimir Putin. Foto: Shutterstock

MOSCA – Era il 2 giugno 2014, quando si tenne l’ultima riunione del Consiglio Russia-Nato: esattamente due mesi dopo la decisione dell’Alleanza Atlantica di sospendere la cooperazione operativa con la Russia a seguito della crisi ucraina. Quasi due anni dopo, nella giornata di ieri, si è tenuto un nuovo consiglio, nella capitale belga, con un focus particolare su Ucraina, Afghanistan e sulla sicurezza delle attività militari in Europa orientale . Nel frattempo, in due anni, di acqua sotto i ponti ne è passata: Vladimir Putin, nonostante le sanzioni e il tentativo occidentale di isolarlo politicamente, è tornato alla ribalta sulla scena internazionale grazie al suo intervento nel teatro bellico siriano, che ha letteralmente scombinato le carte in tavola.  Ma in quanto alla questione delle questioni – i rapporti tra la Russia e l’Occidente –, in fondo poco è cambiato. Anzi, sembra quasi di essere tornati indietro di qualche decennio.

L’attivismo della Nato
Lo scorso febbraio, la Casa Bianca ha annunciato un piano per quadruplicare il budget della difesa del 2017 nei territori dell’Europa dell’Est, passando da 798 milioni a 3,4 miliardi di dollari. Il 30 marzo, il Dipartimento della Difesa ha ulteriormente rimpolpato il programma, con il dislocamento di truppe e armamenti, come veicoli da combattimento e armi pesanti. L’area interessata va dalla Romania all’Ungheria fino ai Paesi baltici. Provvedimenti  ben comprensibili, se si pensa che il Pentagono ha inserito la Russia in cima alla classifica delle maggiori minacce per la sicurezza statunitense.

Putin provoca o risponde?
Naturalmente, di fronte a tale escalation Putin non è rimasto a guardare. La Russia – ha fatto sapere – prenderà «tutte le misure necessarie per difendere la sua sicurezza». Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha quindi accusato Mosca di brandire i propri arsenali nucleari per spaventare i vicini e destabilizzare «l’ordine europeo». Che l’accusa sia fondata o meno, in un tale panorama di tensione, verrebbe davvero da chiedersi se ci si trovi nel 2016 o nel 1962. Il che non è un paragone troppo azzardato, se si pensa che attualmente, a causa del congelamento delle relazioni tra Mosca e Washington, i rispettivi arsenali nucleari si trovano in un perenne e pericoloso «stato d’allerta».  Ma soprattutto, ciò che ci si domanda è se la Russia di Putin stia «attaccando» o «rispondendo»: e se, in fin dei conti, sia Mosca a costituire una minaccia per gli Stati Uniti o viceversa. Una risposta l’ha azzardata Jeffrey Tayler su Foreign Policy, un sito americano di certo non filo-russo. Per Tayler, bisogna ammettere che le misure prese da Putin sono interpretabili come una risposta  più che una provocazione. Chi quindi ha accusato Mosca di aver perpetrato ripetute violazioni dello spazio aereo Usa durante la crisi ucraina, di aver simulato attacchi nucleari su obiettivi est-europei, o ancora di aver messo in piedi una gigantesca esercitazione militare immaginando l’invasione della Scandinavia, forse si dimentica una parte importante della questione.

Il caso della Crimea (e della Siria)
In questo senso, il caso della Crimea può essere illuminante. Daniel Treisman di Foreign Affairs si è chiesto, a tal proposito, la ragione che ha spinto Putin ad annettere la penisola nel 2014, innescando così la reazione sanzionatoria dell’Occidente nei suoi confronti.  Le interpretazioni plausibili sarebbero tre. La prima: Putin stava agendo in risposta all’espansionismo della Nato lungo i confini occidentali della Russia. In questo senso, la presa della Crimea sarebbe servita per prevenire due scenari: che il nuovo governo ucraino entrasse nella Nato, e che Kiev facesse sloggiare la flotta russa nel Mar Nero dalla sua base di Sebastopoli. La seconda: Putin stava rispondendo a un progetto imperialista, volto a riconquistare gradualmente i territori dell’ex Unione Sovietica. La terza: Putin ha agito «improvvisando». L’annessione della Crimea non era preventivata, ed è stata motivata dagli eventi a partire dalla caduta di Yanukovych. Quale di queste opzioni è la più verosimile? Secondo l’analista, un misto di questi tre fattori può spiegare quanto accaduto nel 2014. In particolare, però, si sarebbe trattato di una scelta non del tutto pianificata, in parte scaturita a seguito dell’evidente espansionismo della NATO, in parte favorita dalla paura di perdere la base di Sebastopoli, e in parte inquadrabile in nuove aspirazioni di grandezza. Ma di programmato, in fondo, c’era ben poco: di certo, dunque, non è stato un atto deliberatamente studiato e attentamente ponderato per «sfidare» l'Alleanza atlantica. E poi c’è un ultimo aspetto da considerare, strettamente legato a quest’ultimo: ciò che forse più spaventa l’Occidente di Putin è proprio questa sua natura di leader  che non ha paura di rischiare e di giocare d’azzardo. La Crimea è stata una scommessa, e lo stesso può dirsi per la Siria: e se nel primo caso le ritorsioni occidentali non hanno funzionato un granché, il secondo caso è innegabilmente una scommessa vinta. Con buona pace dell’Occidente.